Sfogliando i giornali e scorrendone i titoli si respira una prorompente voglia di cambiamento radicale. I nostri polmoni si riempiono della malsana aria di insofferenza sociale (che evoca anni bui in cui si pensava di prendere il potere marciando alla volta della città che ne è il simbolo) e di giustizialismo (ben più timido di quello della Tangentopoli di un quarto di secolo fa). La macchina del tempo sembra far dondolare la propria cloche tra due precisi momenti del passato, incerta se fermarsi sul 1922 o il 1992. Se il calendario e gli orologi rimangono fermi, non smette di ribollire il cervello (almeno per quelli che ancora ne hanno uno) ma subito una serie di banali considerazioni iniettano tranquillità nell’esangue tessuto nazionale.
Non può accadere nulla, a cominciare dall’insoddisfazione.
La calura estiva e l’olezzo dei cumuli di spazzatura ad ogni angolo di strada della Capitale disincentivano l’avvio di iniziative itineranti armate al seguito di moderni quadrumviri. Siamo un Paese in cui rivoluzioni e golpe non trovano terreno fertile. Anche i più esacerbati dissidenti non riuscirebbero a dar vita nemmeno ai propositi maggiormente viscerali: c’è chi ha un appuntamento dal dentista, chi deve accompagnare la figlia a danza, chi non può muoversi per via dell’auto rimossa dai vigili urbani e portata al deposito giudiziario, chi invece ha la partita di calcetto o la riunione di condominio, chi ha la suocera tra i piedi, chi ha ottenuto quattro giorni di riposo dal medico curante per aver modo di imbiancar casa o imbottigliare i pomodori, e così a seguire.
Lo stesso vale per l’indignazione e il desiderio che i responsabili paghino il prezzo delle malefatte.
E’ lontano il ricordo della fatidica sera del 30 aprile 1993 dinanzi all’hotel Raphael nel centro di Roma. Il crucifige a suon di monetine scagliate contro un personaggio che rappresentava il normotipo della politica italiana era il gesto liberatorio della massa di oppressi. Si è discusso se i 200 lanciatori di spiccioli fossero spontanei o se la loro partecipazione fosse stata suggerita, incentivata o addirittura organizzata da fazioni interessate a capovolgere storici equilibri improvvisamente vacillanti. Ma il fatto resta. Indelebile.
La storia di quei giorni era cominciata con la mazzetta di sette milioni di lire per l’aggiudicazione – a Milano – dell’appalto per le pulizie del Pio Albergo Trivulzio. Più o meno 3500 euro di oggi. Se quella manciata di denaro fu la miccia della più devastante deflagrazione istituzionale che fu l’Hiroshima dei partiti e della corruttela, perché sentendo parlare di 49 o 65 milioni di euro nessuno sente il dovere di indignarsi e urlare quel “vergogna” che echeggiò ripetutamente ad ogni apparizione in pubblico del leader socialista poi scappato ad Hammamet?
Un mio conoscente – esperto della politica e delle relazioni che vi si intrecciano, nonché un tempo considerato tra le colonne che reggevano gli architravi del mondo di Pontida 1.0 – ieri mi scriveva delle potenziali affinità di destino tra la liaison che univa Bettino Craxi a Mario Chiesa e quella (negata con forza da uno degli interessati) sotto gli occhi allibiti dei cittadini che sentono parlare di “Moscopoli”. A rileggere la storia, anche Craxi vide respingere dal Parlamento l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Ma sono solo coincidenze.
Un corale urlo, “basta!” – materializzazione vocale dello sdegno collettivo delle persone perbene – non riuscirebbero ad immaginarlo nemmeno i mostri sacri della fantascienza come Steven Spielberg o la buonanima di Isaac Asimov. E non si può certo sperare che sia l’opposizione a preparare gli “spartiti” di un gospel liberatorio. Un simile concerto richiede l’esistenza dell’opposizione stessa, una opposizione vera, lontana da Twitter e Facebook ma vicina alla gente e interprete del silenzioso malessere ormai endemico. Le alchimie di chi fotografa il sentimento italiano sulla base di follower, like e retweet probabilmente deformano le prospettive. Nel frattempo il Paese sprofonda nelle sabbie mobili del debito pubblico, della inoccupazione, dell’involuzione industriale e commerciale, delle promesse vacue e mai mantenute.
Sulla tolda del Titanic si continua a danzare. La musica suona sempre più forte, non consentendo di percepire la gravità di quel che sta accadendo. Tranne poche coraggiose eccezioni – vox clamans in deserto – anche i media si sono piegati ad assumere il ruolo di “armi di distrazione di massa” privilegiando policrome facezie alla tetra narrazione del naufragio in corso. Le fake news fanno il resto e il popolo se ne ubriaca. Eh già, bere per dimenticare.
Umberto Rapetto
Giornalista, scrittore e docente universitario
Politica - 15 Luglio 2019
Fondi russi alla Lega, ai tempi si lanciavano monetine. Perché oggi nessuno si indigna?
Sfogliando i giornali e scorrendone i titoli si respira una prorompente voglia di cambiamento radicale. I nostri polmoni si riempiono della malsana aria di insofferenza sociale (che evoca anni bui in cui si pensava di prendere il potere marciando alla volta della città che ne è il simbolo) e di giustizialismo (ben più timido di quello della Tangentopoli di un quarto di secolo fa). La macchina del tempo sembra far dondolare la propria cloche tra due precisi momenti del passato, incerta se fermarsi sul 1922 o il 1992. Se il calendario e gli orologi rimangono fermi, non smette di ribollire il cervello (almeno per quelli che ancora ne hanno uno) ma subito una serie di banali considerazioni iniettano tranquillità nell’esangue tessuto nazionale.
Non può accadere nulla, a cominciare dall’insoddisfazione.
La calura estiva e l’olezzo dei cumuli di spazzatura ad ogni angolo di strada della Capitale disincentivano l’avvio di iniziative itineranti armate al seguito di moderni quadrumviri. Siamo un Paese in cui rivoluzioni e golpe non trovano terreno fertile. Anche i più esacerbati dissidenti non riuscirebbero a dar vita nemmeno ai propositi maggiormente viscerali: c’è chi ha un appuntamento dal dentista, chi deve accompagnare la figlia a danza, chi non può muoversi per via dell’auto rimossa dai vigili urbani e portata al deposito giudiziario, chi invece ha la partita di calcetto o la riunione di condominio, chi ha la suocera tra i piedi, chi ha ottenuto quattro giorni di riposo dal medico curante per aver modo di imbiancar casa o imbottigliare i pomodori, e così a seguire.
Lo stesso vale per l’indignazione e il desiderio che i responsabili paghino il prezzo delle malefatte.
E’ lontano il ricordo della fatidica sera del 30 aprile 1993 dinanzi all’hotel Raphael nel centro di Roma. Il crucifige a suon di monetine scagliate contro un personaggio che rappresentava il normotipo della politica italiana era il gesto liberatorio della massa di oppressi. Si è discusso se i 200 lanciatori di spiccioli fossero spontanei o se la loro partecipazione fosse stata suggerita, incentivata o addirittura organizzata da fazioni interessate a capovolgere storici equilibri improvvisamente vacillanti. Ma il fatto resta. Indelebile.
La storia di quei giorni era cominciata con la mazzetta di sette milioni di lire per l’aggiudicazione – a Milano – dell’appalto per le pulizie del Pio Albergo Trivulzio. Più o meno 3500 euro di oggi. Se quella manciata di denaro fu la miccia della più devastante deflagrazione istituzionale che fu l’Hiroshima dei partiti e della corruttela, perché sentendo parlare di 49 o 65 milioni di euro nessuno sente il dovere di indignarsi e urlare quel “vergogna” che echeggiò ripetutamente ad ogni apparizione in pubblico del leader socialista poi scappato ad Hammamet?
Un mio conoscente – esperto della politica e delle relazioni che vi si intrecciano, nonché un tempo considerato tra le colonne che reggevano gli architravi del mondo di Pontida 1.0 – ieri mi scriveva delle potenziali affinità di destino tra la liaison che univa Bettino Craxi a Mario Chiesa e quella (negata con forza da uno degli interessati) sotto gli occhi allibiti dei cittadini che sentono parlare di “Moscopoli”. A rileggere la storia, anche Craxi vide respingere dal Parlamento l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Ma sono solo coincidenze.
Un corale urlo, “basta!” – materializzazione vocale dello sdegno collettivo delle persone perbene – non riuscirebbero ad immaginarlo nemmeno i mostri sacri della fantascienza come Steven Spielberg o la buonanima di Isaac Asimov. E non si può certo sperare che sia l’opposizione a preparare gli “spartiti” di un gospel liberatorio. Un simile concerto richiede l’esistenza dell’opposizione stessa, una opposizione vera, lontana da Twitter e Facebook ma vicina alla gente e interprete del silenzioso malessere ormai endemico. Le alchimie di chi fotografa il sentimento italiano sulla base di follower, like e retweet probabilmente deformano le prospettive. Nel frattempo il Paese sprofonda nelle sabbie mobili del debito pubblico, della inoccupazione, dell’involuzione industriale e commerciale, delle promesse vacue e mai mantenute.
Sulla tolda del Titanic si continua a danzare. La musica suona sempre più forte, non consentendo di percepire la gravità di quel che sta accadendo. Tranne poche coraggiose eccezioni – vox clamans in deserto – anche i media si sono piegati ad assumere il ruolo di “armi di distrazione di massa” privilegiando policrome facezie alla tetra narrazione del naufragio in corso. Le fake news fanno il resto e il popolo se ne ubriaca. Eh già, bere per dimenticare.
MANI PULITE 25 ANNI DOPO
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Salone dell’auto, vicesindaco Montanari: “Non ho motivi per dimettermi. C’è orientamento legato a poteri forti”
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.