Matteo Salvini si intesta l’inchiesta che ha portato a scoprire un arsenale nelle mani di un gruppo di estrema destra, compreso un missile aria-aria Matra in uso alle forze armate del Qatar. Ma fonti vicine all’inchiesta smontano la ricostruzione del ministro dell’Interno, in particolare sulla segnalazione di un gruppo ucraino che voleva ucciderlo. Il giorno dopo l’operazione a Torino dell’Antiterrorismo, è il capo del Viminale a svelare un retroscena finora non conosciuto: “L’ho segnalata io. Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l’arsenale di qualche demente”, ha detto parlando a Genova. E ha aggiunto: “Penso di non aver mai fatto niente di male agli ucraini, ma abbiamo inoltrato la segnalazione e non era un mitomane. Non conosco filonazisti. E sono contento quando beccano filo-nazisti, filo-comunisti o filo chiunque”.
Ma nel giro di un’ora, la sua versione è smontata. Fonti vicine all’inchiesta spiegano all’Ansa che fu un ex agente del Kgb a segnalare l’esistenza di un progetto di un attentato a Salvini da parte di ultranazionalisti ucraini. A svolgere le indagini furono la Digos e la procura di Torino e, secondo quanto viene riferito, non furono trovati riscontri. Insomma, le cose non stanno esattamente come le ha raccontate il vicepremier e leader della Lega: in particolare, non c’era alcun reale tentativo di attentare alla sua vita e la segnalazione è giunta da un ex 007 russo. Nel corso dei controlli, è però scattato il monitoraggio di 5 italiani, ex miliziani considerati vicini al Battaglione Azov, che ha poi portato alla scoperta del tentativo di vendita di un missile aria-aria Matra.
Il missile, che è stato trovato in un hangar vicino all’aeroporto di Rivanazzano Terme, in provincia di Pavia, prima di finire nelle mani di Alessandro Monti, Fabio Bernardi e Fabio Del Bergiolo, tutti arrestati nell’ambito dell’operazione, apparteneva a un milanese: la sua posizione è ora al vaglio degli investigatori. Già lunedì, durante la conferenza stampa Eugenio Spina, dirigente Ucigos, aveva precisato che nell’inchiesta non sono emersi “elementi che ci facciamo pensare a progettualità eversive“.
Oltre al missile, gli agenti hanno trovato venti armi da guerra, tra cui carabine d’assalto di ultima generazione, pistole e munizionamenti. Martedì gli agenti, insieme agli specialisti dell’esercito italiano, hanno inventariato il materiale da guerra e da sparo custodito negli scatoloni impilati su scaffali alti dieci metri: sul materiale verrà effettuata una perizia balistica. Fino a due mesi fa il missile aria-aria si trovava in un capannone a Oriolo, nei pressi di Voghera: i proprietari dei due depositi sono Alessandro Monti, svizzero di 42 anni, e Fabio Bernardi, italiano di 51 anni, arrestati insieme a Fabio Del Bergiolo, 60enne di Gallarate.
Del Bergiolo, ex ispettore antifrode delle dogane che nel 2001 si era candidato al Senato per Forza Nuova, cercava di vendere il missile e, secondo gli investigatori, si proponeva come intermediario chiedendo tra il 5 e il 10% del prezzo finale di vendita. L’uomo aveva anche contattato un’azienda che si occupa di transazioni nazionali e internazionali di armamenti italiani e un funzionario di un paese estero.