Con lo scrittore siciliano se ne va una delle stelle di riferimento della letteratura contemporanea che da direttore di produzione in Rai fu "scoperto" all'età della pensione da Sellerio, arrivando a vendere oltre 10 milioni di copie. Con il suo "vigatese" (lingua pittoresca e standardizzata) è riuscito a farsi capire da chiunque, con il suo eloquio ipnotico ha vissuto una terza giovinezza nel suo agire pubblico e politico, da uomo di sinistra
Camilleri sono. Andrea Camilleri è morto. Avrebbe compiuto 94 anni il prossimo settembre. Se ne va una delle più popolari e maestose stelle della letteratura contemporanea, tradotta in 120 lingue, venduta in oltre 30 milioni di copie. Uno scrittore che con quel “dialetto per diletto” usato per il suo commissario Montalbano è diventato una pietra miliare della scrittura italiana. La lingua della propria regione trasformata in passepartout nazionale.
Il “vigatese”, dialetto standardizzato e italianizzato, proverbiale, pittoresco e continuamente spiegato. Con quei verbi appuntiti, gli aggettivi e sostantivi irruviditi, il miracolo linguistico Camilleri – il suo “italiano bastardo”, quel “flusso di un suono” – si è fatto case-study espressivo unico, prepotente e innegabile. Ben oltre la Ferrante-mania o le radicali genialità stilistiche di un Gadda. Camilleri si è fatto capire da chiunque. E parafrasando clandestinamente Alberto Moravia “abbiamo perso prima di tutto un romanziere, e di romanzieri ne nascono solo tre o quattro in un secolo”. Poi c’è l’invenzione del personaggio letterario. E qui forse c’è un pizzico in più di casualità nel successo che di furbesca premeditazione. Salvo Montalbano, commissario come Maigret, con una “o” aggiunta in omaggio al grande Manuel Vazquez Montalban e al suo Pepe Carvalho, omo di ciriveddro e d’intuito, è una figura cesellata a tutto tondo, alquanto burbero e spigoloso, con un passato che i lettori hanno imparato a scoprire pagina dopo pagina. Nulla di eccezionale, ma tutto di superlativo. Complice il faccione calvo di Luca Zingaretti in tv, e la regolarità con cui Camilleri e la sua saga edita da Sellerio hanno trascinato verso i piani alti delle vendite il giallo, Montalbano ha assunto il valore di archetipo letterario in mezzo ad un profluvio di epigoni più o meno maldestri, più o meno scopiazzati.
Il caso è anche dietro all’affermazione di Camilleri scrittore. Nel 1992, alla non più giovane età di 67 anni, un signore siciliano che aveva lavorato come direttore di produzione in Rai, drammaturgo e “tragediatore” per il teatro sul finire degli anni Cinquanta, insegnante di regia al Centro Sperimentale di Roma fin verso i Settanta, comincia a mietere successo di critica e lettori con il suo libro La stagione della caccia (Sellerio). Qualche centinaio le copie acquistate dei suoi romanzi e delle sue poesie per i volumi pubblicati silenziosamente negli anni Ottanta. Scartato e dimenticato da parecchi editori per decenni, dall’anonimato letterario, Andrea da Porto Empedocle (Agrigento) si scopre scrittore popolare quando è già in fila alle Poste per le prime mensilità Inps. Il Commissario Montalbano in nemmeno due anni diventa marchio di fabbrica e macchina da guerra nel vendere quei piccoli volumetti blu Sellerio come non era riuscito ad alcun autore. Dal 1994 con La Forma dell’acqua, la saga, anzi la formula “Montalbano” è stata riprodotta fino ad oggi in altri 37 volumi, alcuni di raccolte, altri in collaborazione con colleghi, ma sempre con il mitico commissario protagonista. “Tutti i romanzi di Montalbano si compongono di 180 pagine conteggiate sul mio computer, divise in 18 capitoli di 10 pagine ciascuno”, spiegò Camilleri in un’intervista nel 2010.
“Finirà Montalbano – affermò nel 2018 – nel momento nel quale finisco io finirà anche lui, ma Montalbano non muore e non va nemmeno in pensione”. Camilleri l’aveva raccontato un paio di anni fa. Il metaromanzo pronto dai primi anni Duemila, con Montalbano che dialoga con Camilleri e a sua volta con il Montalbano della tv, da pubblicare solo dopo la sua dipartita. Stava provando ad intuire, “non a capire”, cosa fosse l’eternità, il 93enne scrittore siciliano, 60 sigarette al giorno, ironia apparentemente distaccata e improvvisamente accesa e puntuta, eloquio magmatico e ipnotico. Sposato dal 1957 con Rosetta Dello Siesto, tre figlie, quattro nipoti, Camilleri ha vissuto una sorta di terza giovinezza anche nel suo agire pubblico e politico. Non ha mai nascosto di essere un uomo di sinistra, modello vecchio partito comunista, con relativa ricollocazione odierna post ’89. Antiberlusconiano subito nella galassia Micromega, dipietrista con il magistrato in politica, vicino alla Lista Tsipras (e poi lontanissimo) alle Europee del 2014, per il No contro Renzi al referendum del 2016 (fece diverse visite mediche e si fece accompagnare in cabina elettorale per poter votare nonostante l’incipiente cecità), infine sarcastico sui 5 Stelle e furente su Salvini con in mano il rosario durante un comizio (“mi fa vomitare”), Camilleri è tornato recentemente a teatro sul palco del Teatro Greco di Siracusa per un’indimenticabile “interpretazione” da attore supremo con Conversazioni su Tiresia, con grande successo anche televisivo.
Avrebbe dovuto esibirsi per la prima volta alle antiche Terme di Caracalla, il 15 luglio, con lo spettacolo che racconta la sua Autodifesa di Caino. “Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio cunto, passare tra il pubblico con la coppola in mano” aveva detto. Perché dietro a quell’omone dal vocione ingrossato e reso roco dalla nicotina, dietro all’aura dell’infallibile Montalbano, ci è sempre sembrato scorgere una bonarietà e un’umanità infinita che da oggi ci mancherà come per un cristiano il Vangelo sul comodino. Così si è fatto capire in tutto il mondo.