La disoccupazione giovanile nel sud Italia supera il 50%. In pratica, un giovane meridionale su due non lavora. L’allarme è lanciato da una ricerca condotta da Confindustria in collaborazione con Srm-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Centro studi del Gruppo Intesa Sanpaolo), secondo cui l’emergenza lavoro per i giovani, che ha caratterizzato la fotografia del Sud degli ultimi anni, non accenna a ridursi, sebbene solo un quarto circa delle domande di reddito di cittadinanza presentate facciano riferimento a persone di età inferiore a 40 anni. Al Mezzogiorno, i disoccupati sono circa 1,5 milioni, mentre molti di più sono gli inattivi.
Il tasso di attività si ferma al 54% e quello di occupazione al 43,4%. La disoccupazione giovanile, invece, raggiunge il tasso record del 51,9%. La ricerca mette in risalto tutte le difficoltà del 2018 e di questa prima parte di 2019. Il primo trimestre dell’anno è infatti il terzo di fila a far segnare un andamento negativo, con gli occupati al Sud tornati sotto la soglia dei 6 milioni, con un calo nella maggior parte delle regioni, tranne Molise, Puglia e Sardegna. Il consumo procapite di energia elettrica è ancora del 9,4% inferiore a quello del 2007. E tra i campanelli d’allarme anche lo stop alla crescita nel numero delle imprese: dopo molti trimestri di aumento, nei primi mesi del 2019 quelle attive sono meno di 1,7 milioni esattamente come un anno fa. Nel 2018 hanno ripreso a crescere i fallimenti, così come le liquidazioni volontarie, possibile sintomo del peggioramento della percezione sulle aspettative future degli imprenditori meridionali.
Nell’analisi si teorizza “una nuova politica centrata sull’impresa” quale “la rivoluzione di cui il Sud ha bisogno”. Secondo lo studio, tale rivoluzione “già nell’immediato dovrebbe vedere delle necessarie azioni, a partire dal rapido avvio delle Zone Economiche Speciali, per dare ulteriore impulso agli investimenti nel Mezzogiorno dal punto di vista imprenditoriale e logistico portuale, e dal rilancio del credito d’imposta per gli investimenti al Sud”. La strada dovrebbe passare dunque da “un cambiamento di prospettiva radicale che deve caratterizzare l’azione pubblica, adottando fino in fondo il punto di vista delle imprese nel disegno delle politiche di sviluppo e degli strumenti, nella scelta dei progetti e nella identificazione dei fabbisogni dei territori, a partire da quelli infrastrutturali, in cui i divari restano rilevanti“.
Dalla ricerca emerge come l’export meridionale mostri segnali di frenata. Il 2018 “si e’ chiuso con un valore positivo delle esportazioni (+5,5%, per un valore complessivo delle merci esportate di circa 50 miliardi di euro), nei primi tre mesi del 2019 si registra un inatteso stop“. A penalizzare le regioni meridionali – spiega lo studio – è soprattutto la flessione dell’export di coke e prodotti raffinati, in diminuzione del 21% rispetto al primo trimestre 2018, solo parzialmente compensata dall’andamento dell’export di mezzi di trasporto (+4,5%), prodotti alimentari (+5,1%) e soprattutto dalla farmaceutica, che mette a segno un lusinghiero +18%. Cresce nel 2018, invece, l’export turistico, ovvero arrivi (+14,9%) e spesa (+8,8%) dei turisti stranieri. Tornano ad aumentare, invece, i giorni di ritardo nei pagamenti tra imprese, in media 17,7 giorni.
Lo studio è stato presentato alla presenza del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, e della ministra per il Sud, Barbara Lezzi. “È un cambiamento di prospettiva profondo e di non breve periodo – si legge nelle conclusioni – che deve portare a vedere l’impresa meridionale come un vero pilastro su cui costruire l’intera azione pubblica: a partire dalla definizione dei documenti di programmazione della nuova politica di coesione 2021-27 che in queste settimane sta prendendo il via”.