Le note difensive di Piero Amara, depositate agli atti del processo sulla presunta corruzione dei vertici di Eni nell’acquisizione del campo petrolifero Opl 245 in Nigeria, agitano la compagnia petrolifera. Nel giorno in cui Vincenzo Armanna – project leader in quell’operazione e protagonista della ricostruzione difensiva dell’avvocato plurindagato e già condannato a 3 anni per corruzione in atti giudiziari – verrà interrogato in un’aula di tribunale a Milano nel corso del dibattimento sulle presunte tangenti al management del Cane a sei zampe, Eni risponde a racconto (e ad alcune interviste dei giorni scorsi) sul tentativo di “annacquare” il procedimento annunciando diverse querele. Riguardo ad Amara, Descalzi ha presentato denuncia per diffamazione. Mentre Claudio Granata, braccio destro dell’ad, relativamente ad alcune interviste del 2 e del 13 luglio, ha sporto denuncia per calunnia nei confronti di Amara e dell’avvocato Giuseppe Calafiore e per diffamazione aggravata nei confronti di Armanna.

Oggi Armanna, ex project leader di Eni nell’operazione Opl 245, potrà confermare o destituire di ogni fondamento la ricostruzione di Amara, ma intanto Eni smentisce “in modo categorico le affermazioni rese dall’avvocato Amara attraverso la propria memoria depositata dal suo difensore nel procedimento cosiddetto depistaggio, dichiarazioni assolutamente prive di fondamento e di contenuti diffamatorio nei confronti dell’ad” della compagnia Claudio Descalzi, imputato nel processo. Il racconto di Amara, ora agli atti del processo, è stato pubblicato da Il Fatto Quotidiano. E ripercorre il periodo successivo al momento in cui Armanna aveva cominciato a parlare con i magistrati milanesi, raccontando di 50 milioni di dollari contenuti in due trolley consegnati nel 2011 per essere “retrocessi” al top management Eni, dopo un incontro nella residenza presidenziale nigeriana fra l’allora capo dello Stato Jonathan Goodluck e l’allora ad di Eni Paolo Scaroni.

“Le dichiarazioni di Armanna”, scrive Amara nella nota difensiva smentita dal Cane a sei zampe, “scossero il mondo Eni che temeva che la Procura di Milano potesse emettere delle richieste di custodia cautelare nei confronti dello stesso Descalzi”. Quindi, continua Amara, Claudio Granata, braccio destro dell’amministratore delegato, “mi diede un duplice incarico: tentare di gestire Armanna” spiegandogli che “la sua presa di posizione rendeva impossibile” la sua riassunzione nella compagnia.

E “tentare, contestualmente, di registrarlo qualora Armanna dicesse qualcosa di utile per incastrarlo. Io chiesi a Granata se si trattava di una sua iniziativa, ma lui mi disse che aveva la copertura di Descalzi. Quindi chiamò Descalzi con una videochiamata”, “me lo presentò e Descalzi in persona mi disse che Eni avrebbe avuto bisogno di un avvocato come me in ogni parte del mondo confermandomi il mandato di Granata”.  Insomma, con l’avallo del numero uno di Eni, Amara avrebbe dovuto convincere Armanna ad “annacquare” le sue dichiarazioni per tentare di salvare la posizione di Descalzi, allora indagato.

Eni ora, oltre alla querela per diffamazione nei confronti di Amara, annuncia anche che Granata “ha sporto denuncia per calunnia presso la Procura di Milano nei confronti di Calafiore (per un’intervista del 2 luglio, nda) e dell’avvocato Piero Amara, e per diffamazione aggravata nei confronti di Vincenzo Armanna”. Le affermazioni, scrive l’azienda in una nota, “avanzate dai tre soggetti denunciati, volte a configurare gravi accuse di reato sono state a più riprese smentite da Claudio Granata poiché riportano circostanze false e per di più prive di qualsiasi logica e fondamento”.

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