Il re del narcotraffico Joaquin El Chapo Guzman è stato condannato all’ergastolo per dieci capi di imputazione dalla corte dello Stato di New York. La pena comprende anche una ulteriore condanna a 30 anni ed è stata anche accolta la richiesta di risarcire gli Usa con 12,6 miliardi di dollari. El Chapo, 62 anni, era stato riconosciuto colpevole in febbraio per il traffico di tonnellate di cocaina, eroina e marijuana e di vari omicidi come boss del cartello di Sinaloa, una delle più grandi e violente organizzazioni messicane dedite al traffico di droga.
Prima della sentenza, Guzman aveva preso la parola per dire che a suo avviso gli è stato negato un giusto processo e per lamentarsi delle condizioni carcerarie legate al suo duro isolamento. Le lamentele erano giunte già nelle scorse settimane, durante una delle ultime udienze, ma non erano state accolte dalla giuria che aveva rigettato le richieste. Il caso, ha aggiunto, è stato “macchiato” dai pregiudizi dei giurati, che secondo il suo avvocato hanno letto impropriamente la copertura dei media venendone condizionati. Parlando attraverso un traduttore, il re dei narcos ha definito la sua detenzione “una tortura psicologica, emotiva e mentale 24 ore al giorno”.
Nel corso del processo, iniziato dopo l’arresto avvenuto nel 2016, sono stati ascoltati numerosi testimoni che hanno raccontato in aula le efferatezze, i crimini e i vizi del boss dei narcos. La sua ex guardia del corpo – 39 anni – ha raccontato che tra il 2006 e il 2007 Guzman ha sparato a un membro di un cartello rivale e lo ha seppellito quando l’uomo stava ancora “ansimando”. In un’altra occasione, nello stesso periodo, ha invece torturato due membri del cartello Zeta per circa tre ore, poi li ha uccisi a colpi di pistola e li ha gettati in un fosso dove aveva fatto accendere un falò. Ai suoi uomini, ha raccontato, El Chapo ha detto: “Non voglio che rimangano ossa”.
Qualche mese prima, altri dettagli sull’efferatezza con la quale agiva l’ex capo del cartello di Sinaloa erano stati svelati da Jesus Zambada, uno dei più fidati uomini di Guzman e figlio di El Mayo. Secondo il suo racconto, durante la faida nell’alleanza, El Chapo ha fatto uccidere il fratello di un boss perché non gli aveva stretto la mano al termine di un incontro. Quell’omicidio, secondo Zambada, fu la scintilla che scatenò la lotta interna al cartello nella quale venne assassinato anche un fratello di El Chapo.