“A chi li abbiamo mai appesi i nostri morti? In quale balcone?”. Così il 23 maggio dello scorso anno una delle eredi degli Inzerillo commentava l’assenza delle “lenzuola della legalità” nel quartiere Uditore. La notizia era balzata sui telegiornali. “Ora dimmi tu, vedi, sbagliamo noi che non ci difendiamo”, diceva Giuseppina Spatola, nipote di Totuccio Inzerillo (ucciso nella guerra di mafia degli anni Ottanta) e moglie di Nino Fanara (arrestato oggi). Che aggiungeva: “C’è da chiamare a Barbara D’Urso“. I familiari di una delle più note famiglie di mafia seguivano con attenzione le notizie di stampa tanto che secondo gli investigatori “c’è stata un’accellerazione nell’eseguire la misura perché ci siamo resi conto che sapevano troppo”. Tanto che il gip nell’ordinanza ha ritenuto sussistente il “pericolo di fuga“. A partire dagli Inzerillo: Tommaso, presunto capo del mandamento di Passo di Rigano e il cugino Francesco. “Siccome, ci hanno, ieri ci hanno messo di nuovo nel giornale – diceva Tommaso, intercettato lo scorso 24 maggio, poco dopo un reportage pubblicato da Repubblica – però come parlano, anzi come parlano ieri non hanno parlato mai, diciamo”. E mentre si innalzava l’attenzione mediatica, ponderavano una fuga nottetempo. “Hanno messo di nuovo allo zio Franco nel giornale”, diceva il 6 giugno Giuseppe Spatola, uno dei fedelissimi degli Inzerillo, aggiungendo “ma c’è di scapparsene di notte, parola d’onore”. Anche per questo c’è stata un’accellerazione, nonostante non fosse ancora pronto il mandato di arresto statunitense per Simone Zito (uno degli indagati, tuttora in libertà) ritenuto al vertice della famiglia di Torretta e sponsorizzato da “cristiani anziani“.
Ma l’attenzione era anche per i giornalisti. Tanto che gli agenti della Squadra Mobile di Palermo di Rodolfo Ruperti hanno ascoltato uno degli indagati, Benedetto Militello, braccio operativo della Sicily Food (azienda degli Inzerillo, impegnata nella distribuzione di prodotti tipici) mentre “manifestava chiari propositi ritorsivi nei confronti” di Salvo Palazzolo de La Repubblica che – nei giorni successivi al blitz Cupola 2.0 – aveva tentato di intervistare Francesco Inzerillo. “Non per cosa – dice Militerallo – però certo due colpi di mazzuolo gli avrei dati! Due colpi di legno glieli avrei dati! Tanto che mi può fare? Che ci possono fare? Due colpi di legno! Ma per l’azione! Non è perché siete venuti, avete fatto, ma tu casomai..e scrive per la Repubblica“. “Ma lei che cosa ne pensa del signor Settimo Mineo? – aggiungeva – Che cosa ne penso? Che crasto che sei! C’è il video! Guardati il video! Dice: “Lo sai che siamo imparentati? Che mi vieni a domandare … cosa ne penso?!”
Ed è attorno alla riunione tra boss emersa nel blitz Cupola 2.0 che ruota l’indagine “New Connection“, iniziata nel 2017 e proseguita fino al mese scorso. I pm della Dda di Palermo (aggiunto Salvatore De Luca, sostituti Amelia Luise, Francesco Gualtieri e Giovanni Antoci) hanno registrato le frenesie di boss e sodali che in seguito alla morte di Totò Riina erano chiamati a riunirsi per ridefinire i ruoli all’interno di Cosa Nostra. “Loro parlano di Commissione”, diceva Spatola a Tommaso Inzerillo mentre si trovavano a bordo di una Jeep Renegade. Era il 22 aprile 2018 e la riunione sarebbe stata il 29 maggio. “Loro” invece erano i membri della “nuova cupola”, tra cui il presunto capo Settimo Mineo, arrestati lo scorso 4 dicembre dai carabinieri di Palermo. A quella riunione partecipò Giovanni Buscemi che proprio in quei giorni era tornato in libertà il 6 aprile 2018 dopo 24 anni di detenzione per associazione mafiosa e omicidio. Un rientro atteso ma tribolante, dato che dopo 13 giorni Buscemi capovolse una diatriba tra due sodali (Alessandro Guddo e Francesco Crivello) capovolgendo la valutazione di Inzerillo, cognato di Crivello. Fu lui a rappresentare il mandamento di Passo di Rigano dinanzi a capi degli altri mandamenti, riuniti per ridefinire la commissione provinciale di Cosa Nostra. Un incontro al quale avrebbe partecipato “un altro grosso”, diceva Tommaso Inzerillo intercettato a gennaio scorso. Si tratterebbe di un un certo Adelfio, il dato però non ha trovato alcun riscontro nell’attività investigativa.
Infine gli agenti della Squadra Mobile hanno annotato con attenzione alcune intercettazioni che portano dritto alle tracce del latitante trapanese Matteo Messina Denaro. “Noialtri la dobbiamo vedere questa di Selinunte, perché io a Selinunte – diceva Giuseppe Lo Cascio allo zio Tommaso Inzerillo – ogni tanto noialtri ci dobbiamo andare, tutti e due noialtri ci dobbiamo andare a Selinunte, io te lo dico prima, io ci dico che me ne vado a Malta e noialtri ce ne andiamo a Selinunte”. L’erede degli “scappati” intuiva e ribatteva, “io là tutti questi di Castelvetrano erano coimputati con me, questi di Castelvetrano” aggiungendo “lo zio Ci’ (inteso come zio Ciccio, Francesco Messina Denaro, padre del ricercato Matteo) ho lasciato là un profumo (buona opinione, ndr)”. Per gli investigatori si tratta di “condotte su cui mantenere la più assoluta riservatezza” e lo scorso 5 giugno Inzerillo tornò a parlare di un viaggio a Malta. Ma non si mosse mai dal suo quartier generale di via Castellana, fino a stamattina.