Al momento sono già state protocollate 200 richieste di rimborso. La legge prevede la possibilità di pagare solo il 20 per cento della rata corrispondente al disservizio. L'Ama attacca: "Inaccettabile che qualche associazione minacci la class action". Ma i moduli per le richieste sono sul sito della municipalizzata
Una task-force di avvocati per contrastare le richieste di rimborso della Tari avanzate dai cittadini. Con la crisi estiva dei rifiuti a Roma che sta faticosamente rientrando, si apre un altro fronte caldo per Ama Spa, la società capitolina dei rifiuti. Nelle ultime settimane, complice il tam-tam sui social network e le iniziative di organizzazioni civiche, è cresciuto il numero di romani che hanno deciso di chiedere il rimborso dell’80 per cento della tassa sui rifiuti. Richieste iniziate addirittura nel mese di aprile. Una situazione molto pericolosa per i già fragili conti Ama, perché se anche un solo ricorrente dovesse ottenere la restituzione, la società si esporrebbe ad una escalation difficile da contrastare.
Al momento, in via Calderon de la Barca sarebbero arrivate circa 200 domande, di cui la metà presentate dal Codacons. Ma il numero potrebbe crescere. Il principio secondo cui si ha diritto a uno sconto sulla Tari in caso di disservizio è sancito dalla legge 147/2013, secondo la quale nel momento in cui “il servizio viene interrotto causando danni o pericolo alle persone o all’ambiente”, il cittadino può pagare solo il 20 per cento della tassa sui rifiuti, presentando una certificazione Asl sul pericolo di salute pubblica. A supporto, in questo caso, c’è la comunicazione della Regione Lazio inviata il 26 giugno scorso alle aziende sanitarie, in cui si parla di “rischi per la salute pubblica“, suffragata dalle dichiarazioni delle associazioni dei medici di famiglia. Missive che hanno giustificato, fra l’altro, l’ordinanza firmata da Nicola Zingaretti utilizzata dalla società capitolina per smaltire i rifiuti negli impianti presenti negli altri Comuni.
La Tari di Roma ha l’aliquota più alta d’Italia e vale quasi 800 milioni di euro nelle due tranche annuali. Solo la rata di luglio ammonta a circa 400 milioni di euro. Il “danno” potenziale, se tutti facessero ricorso e ottenessero il rimborso, sarebbe dunque di oltre 300 milioni. Un disastro economico sia per l’Ama sia per il Campidoglio, visto che la società viaggia verso un potenziale rosso di bilancio per il 2017 e il 2018 di circa 80 milioni. “Costituire un argine forte su questa materia così importante – ha spiegato il neo ad di Ama Paolo Longoni – è prioritario per riaffermare l’imprescindibile sostenibilità economica della gestione dei servizi di igiene urbana di Roma”. Tutto ciò “nella consapevolezza che qualunque sforzo che sarà fatto, nei mesi ed anni a venire, per la maggiore efficienza del ciclo di gestione dei rifiuti e dei servizi di pulizia resi alla cittadinanza deve essere sorretto da entrate economiche certe“.
La squadra di legali sarà guidata da Mario Cicala, magistrato ordinario dal 1967 al 2015, già presidente titolare della Sezione tributaria della Corte di Cassazione. “Comprendiamo i disagi che i cittadini, in talune zone della città, possono aver vissuto a causa delle criticità poste dalle decurtazioni di ricettività agli impianti di destino dell’ultimo periodo. Noi stessi siamo cittadini di Roma, prima di tutto”, ha detto la presidente di Ama, Luisa Melara. Poi l’attacco alle associazioni di consumatori: “Ritengo, tuttavia, non sia accettabile che qualche associazione minacci ‘class action‘, in una materia così delicata, con intenti e fini opposti all’interesse stesso dei romani”. In realtà è la stessa Ama, sul proprio sito web, a dedicare una pagina ad hoc per le eventuali richieste di rimborso, con possibilità di scaricare il relativo modulo. Link che nelle ultime settimane ha fatto il giro dei profili social.