Quello che si prospetta per Alitalia è l’ennesimo salvataggio in extremis, un irresponsabile e costoso pasticcio a carico dei contribuenti che si aggiungerà ai 9 miliardi di euro fin qui spesi. E che costerà inoltre una perdita di autonomia e di autorevolezza del governo, che sarà costretto a sostenere tutti i costi del nuovo accordo nella ricerca di un equilibrio economico, con la prospettiva annunciata di induzione espansiva (?!) delle attività di linea.

La soluzione in vista non è valida, innanzitutto perché non c’è la presenza forte e qualificata di un socio industriale. Quella di Delta è una partecipazione minoritaria e di facciata: lo Stato si accolla tutte le responsabilità (economiche, sociali e normative) diventando socio di maggioranza con il ministero dell’Economia e le Ferrovie, e dulcis in fundo è pronta a entrare nell’azionariato di Alitalia la Atlantia dei Benetton, che ha contenziosi ancora aperti proprio con lo Stato: il primo per le note vicende del ponte Morandi, per non parlare delle nuove tariffe autostradali impugnate da Aspi.

Sarà difficile prevedere se i Benetton che controllano gli aeroporti di Roma metteranno la lente sui ricavi da tariffa aeroportuale praticati a Fiumicino o sugli sconti da applicare al cliente Alitalia, che su cinque passeggeri ne imbarca o sbarca quattro nello scalo romano. Continuerà a tenere alte le già alte tariffe aeroportuali o le ridurrà? Qualsiasi strada scelga c’è una contraddizione “imprenditoriale” di fondo.

Inoltre, tutte le costose garanzie pubbliche decise in passato verranno prorogate ancora: l’adozione di una iniqua cassa integrazione d’oro e di lunga durata (sette anni) per piloti e assistenti di volo (alimentata da una tassa d’imbarco assurda di cinque euro a passeggero), il supporto degli aeroporti pubblici, i contributi per la continuità territoriale con la Sardegna e altro ancora. Con i soldi spesi dal 2008 ad oggi si sarebbe potuto tutelare tutto il personale, accompagnandolo alla pensione o ricollocandolo nelle compagnie aeree che avrebbero preso il posto di Alitalia. Ma l’obiettivo dietro il pressing occupazionale era quello di tenere in vita una compagnia decotta, consociativa e predisposta a spese “facili”. Advisor, consulenti e banche d’affari hanno fatto festa – e non hanno ancora finito – per istruire pratiche (mai stati veri piani finanziari) che venivano smentite dai fatti il giorno dopo.

Infine, così come i Benetton – con l’acquisto di Autostrade prima e aeroporti di Roma poi – hanno condizionato i processi di regolazione (concessioni) del ministero dei Trasporti (tariffe, gestioni di appalti in house, manutenzioni e investimenti), inevitabilmente cercheranno di fare lo stesso nel settore del trasporto aereo. Con un prezzo pesante a carico dei contribuenti: la riduzione della concorrenza e della qualità dei servizi.

Ultimo ma non meno importante aspetto: il ruolo di Ferrovie non potrà che essere quello di mascherare aiuti pubblici e di accentuare il proprio ruolo di ammortizzatore sociale, come avvenuto con la recente acquisizione delle Ferrovie Sud-Est (in tre anni di gestione, Fs ha perso 2,4 milioni di passeggeri) a scapito della sua missione principale di vettore ferroviario. Lo sanno bene i pendolari, che continuano a subire i disagi delle soppressioni, dei ritardi inauditi e dei convogli senz’aria condizionata.

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