Non è davvero un bello spettacolo quello che offre quella che dovrebbe essere la nostra classe “dirigente”. L’unica dote che occorre loro riconoscere è la faccia tosta. Esemplare la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati che, dopo aver a suo tempo sostenuto – insieme a molti suoi colleghi e colleghe – che Ruby era la nipote di Mubarak, ha impedito la discussione delle interrogazioni relative al presunto accordo corruttivo tra russi e leghisti. Il leader di questi ultimi, dopo aver acquisito un enorme popolarità impedendo a qualche decina di profughi stremati di trovare rifugio in Italia, nega, con altrettanto esemplare faccia tosta, di avere invitato in Russia il presunto protagonista di detto accordo, tale Gianluca Savoini, quando in rete vi sono decine di testimonianze in senso contrario.
Arroganza e malafede paiono costituire la cifra identitaria dei nostri politici. E’ chiaro che con una classe dirigente così non si va da nessun parte se non a fondo. Anche il tentativo di palingenesi operato dai Cinquestelle è da tempo naufragato nel nulla delle espressioni vacue di Di Maio e Toninelli. Zero assoluto, del resto, sul piano delle riforme che davvero servirebbero gli interessi degli italiani, salvo forse qualche timido accenno in materia di reddito di cittadinanza o di lotta alla precarietà.
In questi tempi indubbiamente bui non bisogna cessare la ricerca di alternative all’attuale sconfortante situazione, uscendo dalle penose miserie dell’oggi per riagganciarsi a una storia che abbiamo vissuto e che nonostante tutto va avanti. Una storia che ci parla di italiani diversi dagli attuali meschini sostenitori di forze politiche che non sanno guardare al di là del proprio naso e che vivono e prosperano rimestando malumori, invidie e frustrazioni e inventando falsi bersagli alla collera diffusa. Una storia che ci racconta di persone unite fra loro o al massimo divise tra padroni e sfruttati, non certo tra italiani e stranieri o tra buonisti e cattivisti.
Vi consiglio, da questo punto di vista, due libri che sto leggendo, entrambi a carattere autobiografico. Il primo è stato scritto da Pino Santarelli e si intitola Rosso è il cammino. Il libro racconta la vita di questo giovane proletario che vive nella zona Sud di Roma negli anni Cinquanta e Sessanta e che per sbarcare il lunario fa mille mestieri: cameriere, operaio, fruttivendolo, e tanti altri.
In tempi molto diversi dall’attuale, ma certamente non meno duri per chi non avesse posti al sole, Santarelli diventa un quadro della Federazione giovanile comunista italiana, conosce tanti personaggi importanti per la nostra storia, da Togliatti a Ingrao, dalla Castellina a Natoli, da Franco Russo a Raul Mordenti, passa attraverso il Sessantotto (dandoci un quadro veritiero di questo periodo tanto importante e decisivo oggi ingiustamente vilipeso da qualche professorino che all’epoca neanche era nato), viene radiato dal Pci insieme al gruppo del manifesto e milita poi in Rifondazione comunista e da ultimo in Sinistra italiana.
L’altro libro è stato scritto da Aboubakar Soumahoro, si chiama Umanità in rivolta e parla delle esperienze esistenziali e lavorative di questo immigrato, nato in Costa d’Avorio e divenuto poi dirigente del sindacato Usb. Soumahoro racconta molte esperienze drammatiche di sfruttamento e anche l’omicidio del bracciante maliano Soumalya Sacko, che militava nello stesso sindacato.
Colpisce nel libro il costante riferimento a Giuseppe Di Vittorio, che fu il più importante sindacalista italiano del Dopoguerra, di cui vengono sottolineati gli interventi sull’importanza del lavoro sindacale, per l’unità di classe e contro ogni razzismo. C’è anche, nel libro di Soumahoro, una viva attenzione nei confronti del problema del comparto agricolo, dove braccianti (immigrati e non) e contadini sono entrambi vittime della grande distribuzione e delle mafie. Soumahoro, al contrario della nostra classe “dirigente”, è pienamente consapevole del fatto che quello agricolo è un settore davvero strategico, data fra l’altro la sua connessione con le tematiche della salute (pensiamo a quante persone muoiono per tumori indotti da pesticidi e simili) e dell’ambiente.
Sono convinto che solo riprendendo e congiungendo fra loro i fili rossi evidenziati in questi due libri e nelle vite di persone come Pino e Aboubakar si potrà dare una chance di sopravvivenza al nostro Paese, destinato altrimenti a una penosa decadenza, sempre più vecchi e sempre più ignoranti, magari circondati da un muro invalicabile ma privi di ogni possibile messaggio di speranza, ottimismo e umanità, sotto l’egida di una classe politica arrogante, vacua e sostanzialmente disonesta. Fra le altre cose ci hanno tolto anche la nostra identità: sarebbe ora di ritrovarla.