Hanno lasciato il carcere alcuni membri della baby gang accusata delle torture ai danni di disabili di Manduria nel Tarantino e ritenute dai magistrati “concausa” della morte del 66enne Antonio Stano. In particolare sono sei i minori a cui la magistratura ha concesso di uscire dall’istituto penitenziario minorile per accedere a una comunità. Anche per uno dei due maggiorenni è giunto un provvedimento che gli ha consentito di lasciare la cella di detenzione e ottenere il trasferimento agli arresti domiciliari. Per quest’ultimo, il 23enne Antonio Spadavecchia il giudice che ha accolto la richiesta degli avvocati difensori, Gaetano Vitale e Lorenzo Bullo, ha spiegato che la gravità dei fatti contestati al 23enne “denotano spiccata pericolosità sociale, incapacità di frenare impulsi violenti, assenza di rispetto della dignità della persona”, ma nonostante questo la detenzione ai domiciliari è la misura adeguata per questa fase del procedimento penale. Lo scorso 1 luglio, infatti, il sostituto procuratore Remo Epifani ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari: è quindi escluso il rischio di inquinamento delle prove: “Non v’è dubbio – spiega il gip Rita Romano – che, nel caso di specie, nel presente procedimento assuma valore fondamentale la prova documentale costituita dai video e dalle chat telefoniche estrapolati dai telefoni cellulari sequestrati a tutti gli indagati che hanno consentito di addivenire alla identificazione dei numerosi giovani coinvolti nella vicenda” e quindi “deve ormai ritenersi privo dei requisiti della concretezza e dell’attualità il pericolo d’inquinamento probatorio”.
Tuttavia esiste il rischio che se lasciato libero “possa commettere delitti della stessa specie di quelli per cui si procede” ed è per questo quindi che, in attesa dell’avvio del processo, Spadavecchia dovrà rimanere agli arresti domiciliari. Nel suo provvedimento il magistrato ha infatti evidenziato come Spadavecchia manifesti una “allarmante anaffettività nei confronti dei soggetti più deboli qual era Stano Antonio, disabile mentale che viveva in condizioni di abbandono e che, proprio per tale sua particolare vulnerabilità era divenuto vittima di atti di inaudita crudeltà e violenza da parte dell’indagato e dagli altri suoi complici”, aggiungendo che le “azioni che venivano per di più accuratamente filmate per il divertimento degli stessi aggressori e di una indeterminata moltitudine di utenti di internet e di chat telefoniche”.
Anche per i sei minorenni, i giudici del tribunale dei minori di Taranto hanno ritenuto “cessate” le esigenze cautelari per il rischio di inquinamento delle prove soprattutto alla luce del decreto di giudizio immediato che porterà i minori coinvolti nella vicenda direttamente sotto processo. Non solo. Determinanti per i sei ragazzi sono state le “dichiarazioni confessorie” e la mancanza di “comportamenti concreti” che potrebbero dimostrare la volontà di inquinare le prove”peraltro – ha specificato il magistrato – in larga misura intangibili in quanto di tipo documentale”. Anche per loro, tuttavia, permane il rischio di commettere reati “della stessa specie” soprattutto alla luce della “della facilità con le quali sono state oggetto di azione concordata con gli altri, dei tempi recenti di commissione, del contesto ambientale e personale nelle quali sono maturate”: per questo ultimo aspetto, però, per i giudici vanno tenute in considerazione le espressioni di “autocritica” che alcuni minori hanno avuto sui propri comportamenti. Per loro, però, è esclusa la possibilità di tornare a casa dove esiste la carenza di figure genitoriali “seriamente normative e indirizzanti” che possano garantire lo “scollamento” dal “contesto socio-ambientale di riferimento negativo”. Per i minori, quindi, l’alternativa al carcere è l’ingresso in una comunità e, in alcuni casi, è preferibile che sia una comunità “diversa da quella – scrivono i giudici – presso cui si trovano altri indagati dello stesso procedimento”.