Come se le parole non fossero più adeguate e il vocabolario non avesse più sinonimi in grado di definire gli avversari dentro i confini anche lessicali della lotta politica. Non c’è altra spiegazione dietro l’ultima scelta di Luigi Di Maio di definire il Pd, “il partito di Bibbiano”, il paese emiliano teatro di una vicenda giudiziaria legata ai traffici degli affidi, a vere porcherie sulla pelle di bambini già sfortunati, ora oggetto di una inchiesta dal titolo eloquente “Angeli e demoni”. A Bibbiano tra gli indagati anche il sindaco, per abuso d’ufficio. Il sindaco è del Pd e questo basta. Basta al capo politico dei Cinquestelle per alludere, e alludendo sfregiare, e sfregiando dimostrare la distanza incolmabile che separa il suo movimento dal Pd. E rispondere così a Salvini, difendersi così da Salvini che invece lo accusa, ma è pura propaganda, di andare a braccetto oramai con Zingaretti.
La lotta politica barbarica chi sazia? Magari i babbei del web che ripetono, senza conoscere un’unghia dei fatti che vorrebbero denunciare, le frasi choc, i meme clamorosamente falsi, i titoli fraudolenti. Sono fanatici, e perciò pericolosi.
Nel gioco sporco dell’ingiuria nessuno si salverà. Non il Pd, che ora è vittima ma ha goduto quando erano i grillini ad essere oggetto di ultrà lanciatori di fango, nemmeno Salvini che pure è un campione nel lancio del sasso (con la mano nascosta) e chiunque altro.
L’ingiuria non fa prigionieri.