“L’accelerazione della strage di Via D’Amelio è certa, bisogna chiedersi quale fu il motivo. La lettura che noi avevamo dato è che il giudice Paolo Borsellino potesse rappresentare un ostacolo alla prosecuzione della trattativa Stato-mafia. E la sentenza di primo grado dello stesso processo Trattativa si avvicina molto a questa tesi”. A dirlo è il pm, già nel pool di Palermo, Roberto Tartaglia, che sostenne l’accusa nel processo sulla stessa Trattativa e che oggi ha lasciato la Procura per diventare consulente della Commissione Antimafia. Grazie anche al suo lavoro, l’istituzione presieduta da Nicola Morra ha deciso di togliere il segreto dargli archivi e dagli atti raccolti dal 1962, a partire dalla pubblicazione delle stesse audizioni inedite di Borsellino a San Macuto, sede dell’Antimafia, tra il 1981 e il 1991.
Ora Tartaglia, in occasione del ventisettesimo anniversario della strage di via D’Amelio, ricorda: “Sulla base di una serie di dati processuali possiamo dire che l’accelerazione di via D’Amelio c’è stata. Fino a pochissimo tempo prima della sua esecuzione, via d’Amelio non era nei programmi di dettaglio di Cosa Nostra, dettati da Salvatore Riina. Anche Giovanni Brusca, collaboratore ritenuto più volte credibile, dice come dopo la strage di Capaci, su indicazione di Riina, Cosa nostra fosse al lavoro su altri obiettivi. Voleva uccidere l’onorevole Mannino, poi il brusco stop. Ma non solo. Anche Cancemi, collaboratore storico oggi deceduto, parla di una riunione fatta poco tempo prima di Via d’Amelio in cui Riina preannuncia la necessità di uccidere Borsellino, dimostrando una particolare urgenza“. E ancora: “Quando io e gli altri colleghi palermitani intercettammo Riina nelle ore di socialità, lui stesso diceva che fu ‘una cosa decisa alla giornata‘. In un’altra conversazione, sempre intercettata, dell’agosto 2013, dice: ‘Poi venne quello da me e mi disse ‘subito, subito. Ma chi fu? Bisognerebbe approfondire chi fosse l’interlocutore ignoto“, chiarisce.
E allora, cosa comportò quell’accelerazione? Scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado sul processo Trattativa Stato-mafia: “Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla “trattativa”, conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo dopo quell’ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d’Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo”