Ho seguito con interesse i post sulla conquista della Luna apparsi su questo blog a firma di Ivo Mej, Peter Gomez, Ugo Bardi e Andrea Aparo von Flue. I discorsi di Bardi e Aparo von Flue hanno molti punti in comune che mi pare possano essere generalizzati. Quasi tutti gli scienziati e gli storici ritengono che esista una realtà esterna a chi la studia e che il compito delle discipline scientifiche o storiche sia quello di indagarla e descriverla, seppure usando strumenti e metodi diversi. Nell’indagine scientifica lo scienziato compie esperimenti e misure dai quali ottiene dati: “fatti” o almeno manifestazioni di fatti. Lo storico ricostruisce eventi utilizzando i dati forniti da fonti documentali, archeologiche o di altro genere.
Quando lo studio raggiunge una conclusione almeno parziale, lo scienziato o lo storico pubblicano il proprio lavoro per condividerlo con la comunità di riferimento e con il pubblico in genere. Lo scopo della pubblicazione è duplice: riferire il risultato e fornire le informazioni necessarie a replicarlo, per consentire la verifica indipendente. Lo scienziato descriverà i metodi e gli strumenti usati, lo storico descriverà i documenti di archivio consultati e darà informazioni sulla loro reperibilità. Un divulgatore può decidere di diffondere ulteriormente i risultati dello studio, o di molti studi sullo stesso argomento, con un articolo o con interviste e filmati, di solito omettendo la parte metodologica e illustrando i soli risultati.
Il negazionista fa un’analisi del testo dell’articolo scientifico o divulgativo, cercando eventuali falle ed errori o imprecisioni. Nel caso degli articoli divulgativi le imprecisioni sono una esigenza stessa del testo, perché il divulgatore cerca un difficile equilibrio tra semplificazione e rigore per rendersi comprensibile al pubblico non specializzato. Trovato quello che appare un errore o una imprecisione nella descrizione, il negazionista pretende che sia invalidato lo studio, che non sia vero il risultato in esso riportato, e a volte addirittura che sia vero il contrario.
Il lavoro del negazionista è molto diverso da quello del ricercatore scettico: il ricercatore scettico sa benissimo che la pubblicazione riferisce un fatto o un evento e indaga quelli. Proverà a riprodurre l’esperimento descritto nel lavoro scientifico o a farne un altro simile che dovrebbe portare ad un risultato congruente; lo storico scettico consulterà i documenti originali o ne cercherà di nuovi. Spesso il risultato verrà confermato; più raramente questo lavoro rivelerà invece errori nella pubblicazione originale e porterà alla sua revisione.
Sia in un caso che nell’altro nella comunità scientifica o degli storici si forma piano piano una opinione di consenso, intorno ad esperimenti o studi che sono stati replicati molte volte in modi diversi e hanno condotto allo stesso risultato. Chi non è nella posizione di replicare uno studio fa bene a fidarsi del consenso degli specialisti, piuttosto che del negazionismo. Ad esempio, la costante di gravitazione universale fu misurata la prima volta da Cavendish nel 1797 utilizzando una bilancia torsionale. Nessuno scienziato pensa che l’esperimento di Cavendish sia vero perché fu descritto bene: gli scienziati pensano che sia vero perché tutte le volte che si è provato a riprodurlo si è ottenuto lo stesso risultato, magari con diversa precisione. Si noti che un esperimento o uno studio storico deve essere ripetibile, ma non è richiesto che sia “facilmente” ripetibile: costruirsi in casa una bilancia torsionale non è facile.
Il propagatore di bufale è in genere un negazionista: poiché non è in grado di fare esperimenti o ricerche originali, la sua unica possibilità è analizzare criticamente le ricerche pubblicate e negarle attraverso l’analisi critica del testo. Così abbiamo i negazionisti dell’Olocausto, i negazionisti dell’utilità dei vaccini, i negazionisti della sfericità della Terra, etc. In assenza di esperimenti e misure, il negazionista ricade nel semplicismo più ingenuo: è terrapiattista perché alla scala della nostra esperienza sensoriale immediata la curvatura della Terra è piccola. Il negazionista manca di distinguere tra il fatto e la sua descrizione e crede che la critica della descrizione sia una critica del fatto.
Spesso il negazionista chiede “prove”, ma anche su queste equivoca tra il dato e la sua descrizione: perché se uno vuole prove quello che deve fare è andare a visitare i centri di ricerca specializzati che organizzano visite per il pubblico e farsi spiegare gli esperimenti dagli scienziati che li fanno; meglio ancora prendere una laurea, vincere un dottorato di ricerca e andare ad effettuare le misure lui stesso.
In genere il negazionista e i suoi seguaci sbagliano anche nella valutazione del peso relativo delle prove. Ad esempio, alcuni negazionisti della Shoah sostengono che la tecnologia delle camere a gas e dei crematori non consentisse eccidi della dimensione stimata dagli storici. Questo tipo di problematiche è marginale rispetto al dato principale della completa scomparsa di comunità numerose, dense di vita culturale: il confronto tra le percentuali di sopravvissuti tra i cittadini polacchi ebrei e non ebrei parla da solo. Accertato questo, gli storici veri si interrogano su come gli eccidi furono compiuti e come furono eliminati i cadaveri, ed è certo che camere a gas e crematori non furono gli unici dispositivi utilizzati dai nazisti. Gli storici possono aver dubbi sui dettagli, ma il consenso sulla realtà della Shoah è unanime e la sua negazione è insostenibile.
Poiché ho citato la Shoah, voglio dedicare questo post a Primo Levi, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita: uomo di scienza e scrittore, testimone che non pretese di assumere le vesti dello storico.