di Luigi Manfra*
Il governo gialloverde con una manovra correttiva da 7,6 miliardi di euro ha evitato la procedura d’infrazione proposta dalla Commissione europea. Grazie a Giovanni Tria e al contemporaneo silenzio dei due vicepremier non soltanto si sono rispettati i parametri imposti da Bruxelles, ma si è anche garantito che la legge finanziaria per il prossimo anno farà altrettanto.
Come si concilia questo impegno con l’enorme mole di spesa aggiuntiva, quasi 40 miliardi di euro, prevista per il 2020? Se il copione del 2019 si dovesse ripetere, dovremo supporre che la manovra prossima ventura la gestirà il ministro Tria, aldilà delle roboanti dichiarazioni della Lega e, in tono minore, dei Cinquestelle. Il ministro dell’Economia, da sempre fautore di uno spostamento dell’imposizione fiscale dalla tassazione diretta a quella indiretta, vorrebbe aumentare parzialmente l’Iva, recuperando alcuni miliardi, come ipotizza Prometeia in un recente report, con l’obiettivo di ridurre il deficit pubblico.
Se, inoltre, le misure di contenimento del deficit adottate nel 2019 avranno un effetto positivo di trascinamento (come pare) anche nel 2020, si ridurrà ulteriormente il fabbisogno finanziario, anche se restano comunque circa 30 miliardi di maggiori spese senza copertura, incompatibili con un deficit pubblico per il 2020 che non può superare il 2,1%, come richiesto dall’Europa. Il problema, come è noto, verrà affrontato dopo l’estate, ma già oggi è possibile fare delle congetture sulla base delle dichiarazioni di vari ministri del governo italiano.
L’ipotesi più probabile è che anche questa volta verranno rispettate le regole europee, al netto delle affermazioni di Matteo Salvini che, come al solito, continuerà con i suoi slogan roboanti finché sarà possibile farlo impunemente. La Lega, infatti, deve tener conto dell’eterogenea composizione del suo bacino elettorale, composto dai tradizionali elettori del Nord – molto sensibili ai temi economici, ai quali nell’ultimo anno si sono aggiunti nuovi adepti conquistati dalla politica salviniana di continuo scontro con “l’Europa dei burocrati” su temi come l’immigrazione, la sicurezza e la finanza pubblica. I Cinquestelle, invece – come appare sempre più chiaro – pur avendo il doppio dei deputati del partner di governo, fanno da comprimari, nel terrore di imminenti elezioni anticipate.
Di conseguenza Salvini può cavalcare tutte le battaglie che reputa utili per incrementare il suo bottino elettorale, ma con un limite invalicabile: non creare una situazione di incertezza in cui lo spread ricominci a salire. Infatti, alla luce dei risultati delle recenti Europee, l’elettorato delle regioni del Nord rappresenta il 60% del totale, ed è composto in proporzione rilevante da ceti produttivi della piccola industria e delle professioni, il cui obiettivo prioritario è la stabilità economica e finanziaria del paese.
Nel bilancio 2020 le due poste più rilevanti sono l’aggravio dell’Iva, per un ammontare pari a circa 23 miliardi di euro, e la Flat tax pari a 10-15 miliardi. L’ipotesi suggerita di recente dal ministro dell’Economia prevede di finanziare la riduzione delle tasse sui redditi più bassi con l’inasprimento dell’Iva, anche se l’effetto immediato potrebbe portare a una probabile, ma transitoria, contrazione dei consumi.
Infatti diminuire l’Irpef e aumentare l’Iva avrebbe effetti positivi in tema di riduzione dell’evasione fiscale. Per quanto riguarda quest’ultima, è noto che frodare il fisco è più facile con le tasse dirette, come l’Irpef, che con quelle indirette, più difficilmente eludibili, e quindi l’operazione avrebbe, presumibilmente, un effetto positivo sulle entrate fiscali. Inoltre, punirebbe gli evasori che notoriamente hanno un livello di consumi più alto di quanto consentirebbe il loro reddito dichiarato, colpendoli nel momento degli acquisti.
Ma i due vicepremier hanno affermato, all’unisono e in maniera categorica, che l’aumento dell’Iva verrà scongiurato. Quindi, le risorse necessarie a finanziare la riduzione delle tasse e a mantenere inalterate le aliquote Iva non hanno, a tutt’oggi, trovato una copertura finanziaria, e difficilmente la troveranno.
Un’ipotesi ventilata da qualche esponente del governo per trovare tali coperture sarebbe quella di cancellare il provvedimento degli 80 euro introdotto dal governo Renzi, ma appare una ipotesi difficilmente praticabile per evidenti motivi di consenso politico, e del resto Luigi Di Maio l’ha recentemente esclusa.
La scelta del governo gialloverde, quando dopo l’estate bisognerà elaborare il documento di finanza 2020, è un vero rebus. Le ipotesi esaminate sono numerose, ma nessuna di esse appare, ad oggi, facilmente praticabile e senza controindicazioni. Allora come finirà? E’ probabile che la Lega accetterà di fatto il diktat della Commissione europea, così come ha fatto del resto per la manovra correttiva 2019, anche se cercherà di scaricare la responsabilità della rinuncia sui propri alleati di governo.
* Responsabile progetti economici-ambientali Unimed, già docente di politica economica presso l’Università la Sapienza di Roma