Erano state violentate, uccise e decapitate mentre stavano campeggiando alle pendici del monte Toubkal, a 70 chilometri da Marrakech. E ora sono arrivate le condanne per il duplice omicidio di Louisa Vesterager Jespersen, studentessa danese di 24 anni, e della sua amica Maren Ureland, norvegese di 28. La Corte d’assise d’appello di Salè, in Marocco, ha deciso la pena capitale per il presunto capo di un gruppo jihadista, Abdessamed Ejjoud, considerato il cervello della cellula terrorista, l’autore materiale del delitto di una delle due ragazze, Younes Ouaziyad, che ha ammesso di aver ucciso l’altra studentessa, e Rachid Afatti, che ha filmato la scena. Abderrahim Khayali, il quarto uomo, l’autista che si è allontanato al momento del delitto, ha avuto l’ergastolo. Altre 20 persone sono state condannate a pene detentive. Gli imputati hanno età comprese tra i 20 e i 31 anni. Le tre condanne a morte rimarranno con ogni probabilità in sospeso, come tutte quelle comminate negli ultimi 20 anni. L’ultima esecuzione risale al 1993: è quella di un alto funzionario di polizia condannato per abuso di potere e stupri seriali.

A vario titolo i 24 erano tutti accusati di “costituzione di banda per preparare e commettere atti terroristici, omicidio premeditato, possesso d’armi, tentativo di fabbricare esplosivi, nel quadro di un progetto collettivo che voleva portare grave attentato all’ordine pubblico“. Tra i colpi di scena del processo, anche la ‘chiamata in causa della responsabilità di Stato’, obbligato ad ‘assicurare protezione a cittadini e turisti’, avanzata dalle parti civili per indennizzare le famiglie delle due vittime.

Il duplice omicidio – Era la notte tra il 16 e il 17 dicembre quando le due ragazze, da sole e senza l’accompagnamento di una guida, stavano tentando la scalata alla cima più alta del Nord Africa. Raggiunte nella notte, al bivacco di fortuna, da quattro uomini, furono uccise e decapitate. I loro corpi sono stati trovati la mattina seguente, da un pastore, a poca distanza dalla tenda, nella piana dove si erano accampate. Dal 1993, anno a cui risale l’ultima condanna a morte, il Marocco da allora osserva di fatto una moratoria. Da quando poi il 23 luglio 1999 è salito al trono, re Mohammed VI non ha mai firmato un decreto di esecuzione. Il diritto alla vita è sancito come principio fondamentale dalla Costituzione marocchina, entrata in vigore nel 2011. Tutto il sistema giudiziario del Marocco è interessato da un grande progetto di riforma, avviato nel 2013. Il nuovo codice dovrebbe ridurre a 5 i reati per cui è prevista la condanna capitale: al momento sono invece 16. In tutte le carceri marocchine, secondo i dati più recenti che risalgono al 2018, sono 115 i condannati nel braccio della morte. Quando il re concede provvedimenti di grazia o indulto, le eventuali condanne a morte vengono convertite in ergastolo.

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