Era notte, nella leggenda, quando Prometeo rubò agli dei il segreto del fuoco, donandolo agli uomini perché illuminasse la loro crescita ed evoluzione. Era notte, per noi in Italia, quando l’aquila, illuminata dalla luce della tecnologia, concluse il suo volo durato otto anni, consentendo un altro grande passo per l’umanità: bene descrisse Neil Armstrong il suo primo, infantile saltello sulla Luna.

Sono passati 50 anni ed è, per i 650 milioni di persone che c’erano e ancora sono, ieri. Perché si assistette, in prima persona, a un evento straordinario, incredibile nonostante l’evidenza, al punto di consentire la proliferazione di teorie negazioniste più o meno eleganti e ingenue. Nulla di strano. Molto più facile credere a una storia plausibile del tutto inventata che accettare, basandosi su una quantità esagerata di prove sperimentali, un evento poco plausibile.

Poco plausibile non perché ci fossero particolari difficoltà nella missione. La scienza e la tecnologia necessaria erano disponibili: un po’ di meccanica classica, un pizzico di termodinamica e fluidodinamica, teoria dell’elettromagnetismo quanto basta, elementi di fisiologia umana; un vettore più potente, un sistema capsula-modulo di allunaggio. Nulla di esoterico.

Poco plausibile perché il progetto Apollo ha dimostrato cosa può fare la politica quando, interpretando le necessità sociali – allocando le necessarie risorse per alimentare in modo continuo e stabile il sistema economico-industriale per un periodo sufficientemente lungo (oggi quale politico, dove, si impegna su un progetto della durata di otto anni?) – si accorda per conseguire un obiettivo strategico ben definito, basato su una metafora condivisa e una visione chiara.

La conquista della Luna è stata per gli statunitensi la riproposizione del mito fondante della loro cultura, quella nuova frontiera che ha fatto l’America. Prima era il go west, in questo caso fu il go up: destinazione Luna. Allora vennero abbattute le barriere geografiche orizzontali. Le missioni Apollo dimostrarono che non siamo prigionieri del nostro pianeta.

Quella notte vennero generati miti e leggende che hanno rafforzato in modo formidabile la capacità di colonizzazione culturale degli Usa. Se volevi cavalcare il fronte d’onda della ricerca di base e applicata, della tecnologia e dell’innovazione, occorreva andare, studiare e fare ricerca, avviare nuove imprese in America. Per quasi mezzo secolo è stato il modello di riferimento, la terra promessa dove tutto era possibile, dove i sogni si realizzavano mentre garrivano nel vento le stelle e le strisce dalla sua bandiera.

Dopo la prima missione dell’Apollo 11 altre ne seguirono. Nessuna con uguale impatto mediatico. Ci si abitua a tutto. L’attenzione del pubblico andò scemando con il tempo. La politica colse il segnale. Le ultime missioni previste vennero cancellate. Il sogno era evaporato. Forse solo sospeso, visto che oggi se ne riparla. Orizzonte 2024. Progetto Artemide, perché sorella gemella di Apollo, perché è una delle tre personificazioni della Luna, perché è giunto il tempo di fare camminare la prima donna sulla Luna.

Perché i tempi sono maturi per una nuova frontiera. La Terra ne ha abbastanza di politici – e non solo – che negano l’evidenza. Troppi sono i muri in costruzione, i cancelli ai confini, i porti blindati. Troppe menzogne. Ricominciamo a sognare ed è facile quando si ha a che fare con lo spazio. Vero. L’esplorazione dello spazio ha bisogno di molto denaro. Troppo per una sola nazione, anche perché le ricadute economiche e sociali sono a vantaggio di tutti, come è stato dimostrato dal progetto Apollo. Nulla di meglio di un bel progetto spaziale per mettere tutti d’accordo. Ha funzionato con la Stazione internazionale, sappiamo come fare.

Continuare scioccamente a sprecare risorse in una competizione sterile non porta lontano. Una cooperazione/competizione internazionale, un gioco a somma positiva dove a vincere è il genere umano, ci porterà molto lontano. All’infinito e oltre.

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