Sognando le tue gambe. Fu questa la dedica sul tuo libro Panta rei. Mentre con quel tuo fare sornione me le sbirciavi dalla minigonna. Ho frugato negli scatoloni dei miei traslochi, non l’ho trovato. Forse spunterà fuori. Intanto apro i cassetti impolverati di ricordi. Erano i miei anni romani, ma anche quelli di Indietro Tutta, della 500 Fiat di Renzo Arbore, tutti stipati dentro, del look-ologo Roberto D’Agostino e di tante serate goliardiche dove tu facevi da anfitrione.
Sei stato tante cose: scrittore, regista, attore, divulgatore, conduttore televisivo e, Nikon al collo, anche fotografo. Prima ancora, ingegnere della Ibm. Ma sei stato anche uno sciupafemmine, anche se dicevi di essere, tu, uno “sciupato dalle femmine”. Prima fra tutte Isabella Rossellini, la più amata. A 20 anni si trasferisce a New York dove fa la corrispondente nel programma di Renzo Arbore, L’altra domenica. Sono quelli gli anni in cui si colloca la vostra storia. Sarà stato anche per la distanza ma lei non ti ha restituito lo stesso amore. Anzi, ho il forte sospetto che quando in un’intervista hai lasciato trapelare che tu e Arbore avete amato la stessa donna, che ha lasciato entrambi, il riferimento sia proprio alla bella e capricciosa Isabella.
Ti consolava qualche pillola di saggezza popolare del vice-sostituto portiere nel film cult Così parlò Bellavista: “Signo’, l’essere umano dà ammmor quando è in caduta, mica quando ‘statt’ncopp’a nu trono della gloria…”.
Il tempo tutto dà e tutto toglie. Nessuno meglio di te è stato capace di fondere filosofia e vita quotidiana. Come Andrea Camilleri hai nobilitato il dialetto a forma di letteratura. Facendoci apprezzare il callo verace del dialettale. È solo perché sei “arrivato” secondo a toccare il Paradiso (dopo la morte del mammasantissimo Camilleri) che la stampa nazionale ti ha dedicato una paginetta o poco di più, come fa notare il tuo agente storico e amico di una vita Enzo D’Elia.
Un solo cruccio: quello di essere stato snobbato dalla Grande Critica dei sapientoni, malgrado i tuoi 18 milioni di libri tradotti in una trentina di lingue. Una piccola rivincita te la sei presa, quando il Teatro San Carlo l’anno scorso per i tuoi giganteschi 90 anni ti ha spalancato le porte per la mise en scene di Così parlò Bellavista. Perché la lunghezza effettiva della vita è data dal numero di giorni, uno diverso dall’altro, che un individuo riesce a vivere. Quelli uguali non contano, filosofeggiavi. La vita non bisogna allungarla ma allargarla: geniale. Ma anche umile, come ti ricorda Geppy Gleijeses, regista, attore ma soprattutto amico sincero: “Quando gli dissi della prima al San Carlo, mi rispose me stai sfuttendo. Si volle alzare e si inginocchiò davanti a me”.
Dividevi la vita in tre fasi: “Rivoluzione. Riflessione. Televisione. Si comincia con il voler cambiare il mondo. Si finisce con il cambiare canale”. Da buon epicureo avevi un atteggiamento di sfida nei confronti della morte: “Non mi riguarda. Se ci sono io, Lei non c’è. Se c’è Lei, io non ci sono”. E del Dopo, allora? Allargavi le braccia: “Non sono né credente, né non credente. Ma sono sperante”.
Il secondo amore della tua vita è stato Napoli, e da perfetto erede dell’illuminismo partenope: “A volte penso che Napoli possa essere l’ultima speranza che resta alla razza umana. A me Napoli manca sempre. Anche quando sono lì”.
Qualche giorno fa sono passata per i Fori imperiali, abiti lì a due passi, una casa dal sapore antico, stracolma di libri. Volevo chiamare Renzo, chiedere il tuo numero e venire a farti un saluto. Non l’ho fatto e me ne pento.
Ieri la camera ardente in Campidoglio, oggi a Napoli il funerale nella Chiesa di Santa Chiara, nel ventre della tua Spaccanapoli. Lutto cittadino, così Napoli si prepara all’arrivederci a Bellavista. Perché nella tua visione dell’aldilà speri di incontrare i tuoi maestri di filosofia e di vita, da Socrate a Nietzsche… e gli amici cari. E ti saluto come facevi tu con quel gesto d’apertura verso il cielo: “A Maronna t’accompagni!”.
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