Se avesse conservato la maglia gialla, anche solo per una manciata di secondi, Julian Alaphilippe avrebbe portato a termine il suo compito preparandosi a riconsegnarla dopo la scalata del Tourmalet. Se avesse perso pochi secondi da Geraint Thomas, specialista delle prove a cronometro e vincitore l’anno scorso, ci saremmo sorpresi per la tenacia. La maglia gialla indosso fa miracoli – avremmo detto – ma Alaphilippe è andato oltre il miracolo, nel giorno del centesimo anniversario di questo simbolo (proprio il 19 luglio 1919, la maglia che contraddistingue il primato nella corsa francese fu vista in gruppo per la prima volta).
Il miracolo è stato quello di vincere la cronometro di Pau, aumentando di altri 14 secondi il divario con Thomas che resta il favorito per la vittoria finale, ma che sarà costretto a fare qualcosa di diverso dal solito per confermarsi: attaccare in salita. Un minuto e 26 secondi di vantaggio dopo la 13esima tappa sono un margine che può sgretolarsi in un attimo se le gambe si induriscono, e in salita è facile che ciò succeda.
Ma Julian Alaphilippe è la vera sorpresa del Tour, e a 27 anni questo ragazzo – che tutti conosciamo come un fenomeno delle corse di un giorno – sta sovvertendo gli equilibri del ciclismo mondiale. Tutti si aspettano che ceda, il Team Ineos imporrà dei ritmi tosti per avviarne il logorio. Questo è e sarà l’unico piano possibile per spodestare Alaphilippe, che dovrà limare le ruote avversarie per portare più avanti il suo sogno e quello dell’intera Francia: vincere il Tour. L’ultimo francese ad averlo fatto è Hinault nel 1985.
Immaginare che fosse un cacciatore di classiche a far pensare concretamente a tutti che l’incantesimo potesse spezzarsi era impossibile all’inizio. A due terzi di corsa, Julian Alaphilippe da Saint Armand Montrond, paesino dello Cher nel centro esatto della Francia, sembra irradiare la Grand Boucle con la sua forza, la grinta e l’efficacia della pedalata. Gli anni magici, quelli dove tutto riesce, esistono: il suo 2019 conta già le Strade Bianche, la Milano-Sanremo e la Freccia Vallone. Vincere il Tour sarebbe epico, uno spartiacque anche per lui che si scoprirebbe ciclista completo a 27 anni, neanche troppo tardi poi. La fame di successo e la determinazione di Alaphilippe contro il calcolo e il gioco di squadra di Thomas e Bernal: il copione sarà questo.
Se volevamo lo spettacolo finalmente lo avremo e sono certo che il tifo penderà verso chi ci mostrerà, finalmente, qualcosa di nuovo. Verso chi soffrirà, si lancerà in discesa per recuperare se la salita sarà stata indigesta. Insomma tifare per Alaphilippe è scegliere una filosofia di ciclismo che non tiene conto del ragionamento e mette tanto cuore in sella.
Un po’ d’invidia, da italiano, la provo, visto che un ciclista che questa filosofia la professa da anni lo abbiamo ed è pure in gruppo, anche se sofferente, di fisico e di testa. Parlo di Vincenzo Nibali, che grandi giri e classiche li corre e li ha vinti aggiungendo lo stesso ingrediente segreto: il cuore. Noi italiani siamo tagliati fuori, speriamo in una tappa.
Ma adesso vi confido una visione: Nibali e Alaphilippe insieme all’attacco, magari in discesa, un passaggio di testimone fra ciclisti diversi ma che infiammano la gente alla stessa maniera. Vista l’età dello Squalo sarebbe un passaggio di consegne, un bene per il ciclismo e un trionfo inatteso e grandioso per i francesi.