Un borsa di studio finanziata da ex studenti per altri studenti. Questa è l’idea dell’Associazione Alumni del Collegio Superiore di Bologna: fornire a chi sta per finire gli studi un contributo economico per trascorrere un periodo all’estero, magari per un progetto di tesi. In più, spiega il presidente Paolo Annibale, è un modo per “restituire” al sistema qualcosa dell’ottima formazione ricevuta: “La nostra università ha un ottimo livello. Certo, è piena di falle, ma allora bisogna che chi è uscito giri le critiche in modo costruttivo e dica: bene, cosa posso fare io per dare una mano, concretamente?”.

Paolo Annibale, laureato in Fisica all’Università di Bologna, coordina l’associazione degli ex alunni del Collegio Superiore, un’istituzione d’eccellenza dell’Università di Bologna. Un gruppo di ex studenti abbastanza ristretto, circa 300 persone sparpagliate qua e là – di cui molte all’estero – ma sempre rimaste in contatto: “Tutti eravamo d’accordo sul fatto di aver avuto dall’Italia una formazione di ottima qualità, e ci siamo chiesti come potevamo fare qualcosa di utile per ricambiare, almeno simbolicamente”. Perciò sono nate due borse di studio del valore di 1500 euro ciascuna, per sostenere periodi di studio o progetti di tesi all’estero. I primi due studenti ad averla ricevuta sono Lorenzo Rosa (Ingegneria Informatica), che ha scelto gli Stati Uniti, e Francesca Basini (Scienze Statistiche, entrambi nella foto), partita per l’Irlanda. “Rispetto alla domanda, le borse di mobilità d’ateneo non sono sempre sufficienti a coprire la richiesta. Abbiamo pensato a delle borse che fossero molto semplici dal punto di vista della burocrazia, e che potessero coprire molte cose diverse”. La vera novità è che sono finanziate da ex studenti, attraverso una sottoscrizione interna all’associazione: “Ci siamo dati un obiettivo da raggiungere attraverso donazioni in piena libertà. Il prossimo anno ci piacerebbe fare un po’ di fundraising esterno, per aumentare il valore delle due borse o offrirne di più”.

Secondo l’Istat, 28mila laureati hanno lasciato l’Italia nel 2017. Ma non dev’essere necessariamente una strada senza ritorno, puntualizza Annibale: “Un periodo all’estero non va inteso come un biglietto di sola andata, ma piuttosto come l’occasione per fare un’esperienza formativa, a prescindere da dove si svilupperà la propria carriera futura”. Sul fenomeno dei cervelli in fuga ci sono diversi miti da sfatare: il primo, spiega Annibale, è che chi resta sia “uno sfigato, o un bamboccione” o che al contrario chi parte “abbandoni il proprio Paese”. La seconda leggenda metropolitana, aggiunge, è che all’estero sia sempre tutto meglio: “I baroni esistono anche negli altri Paesi, i concorsi truccati esistono anche altrove. L’Italia ha dei grossi problemi di risorse e di trasparenza, ma è una semplificazione pensare che basti varcare il confine per trovare il paese dei balocchi“. Annibale ha lavorato in Svizzera, negli Stati Uniti, e ora in Germania. Proprio in virtù della sua esperienza all’estero, può testimoniare la validità del sistema italiano: i nostri laureati ricevono un’ottima preparazione, dice, e lo dimostrano con i risultati che raggiungono anche all’estero. Da queste considerazioni è nata l’idea della borsa di studio: lo scopo è “restituire” qualcosa di quello che si è ricevuto, aiutando altri studenti che non hanno i mezzi a trascorrere un periodo all’estero. “Il punto è fornire gli strumenti per scegliere autonomamente come e dove sviluppare la propria carriera, soprattutto a chi è all’inizio del suo percorso o ancora incerto”.

Secondo l’ultimo rapporto Istat sul mercato del lavoro, a quattro anni dal conseguimento del titolo, quasi un dottore di ricerca su cinque vive e lavora all’estero: quello del brain drain, la fuga di cervelli, è un fenomeno in crescita. Una perdita di capitale umano e – in ultima analisi – anche economica: persone formate a spese del sistema italiano, che poi investono il loro potenziale altrove. “La ricerca è internazionale, è naturale essere in movimento – sottolinea Annibale -. In Italia semmai l’anomalia è che il fenomeno è sbilanciato verso l’estero”. Vale a dire: l’Italia ‘perde’ più talenti di quanti ne acquista. L’Istat conferma che solo il 26% degli studenti stranieri che hanno conseguito il dottorato di ricerca in Italia è ancora presente nel nostro territorio: per la maggioranza di loro, quindi, l’Italia è stata solo una tappa di passaggio.

La neonata borsa di studio “da studenti per studenti” è stata sperimentata solo tra gli studenti del Collegio Superiore di Bologna “non per elitarismo, ma per ragioni di semplicità: è un gruppo piccolo ed è più facile coordinarsi”, spiega Annibale. Ma la speranza e l’ambizione è che venga replicata da altre associazioni di ex alunni in altri atenei. “Per noi è stata quasi una responsabilità civica, ma può farlo chiunque, in qualsiasi università. Non è impensabile che chi sta vivendo una carriera con successo e soddisfazione, si fermi per domandarsi: ma io cosa posso fare per migliorare l’università da cui sono uscito?”.

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