La strategia dei pop corn di Matteo Renzi? La “madre di tutti gli errori”, la base sulla quale la Lega è salita al 35% in un anno. I Cinque Stelle? Un “errore metterli sullo stesso piano” del Carroccio, perché le posizioni su Tav e reddito di cittadinanza non sono la stessa cosa di lasciare “morire la gente in mare” o accendere l’odio tutti i giorni. Parola di Dario Franceschini, che in un’intervista al Corriere della Sera rilancia il tema del dialogo tra Partito Democratico e Cinque Stelle in ottica anti-Salvini.
Nicola Zingarettti commenta spiegando che “nessun governo con il M5s è alle porte e nessun governo con il M5s è l’obiettivo del Pd”, ma l’apertura scatena i “senza di me” su Twitter, dove l’ex ministro dei Beni Culturali viene attaccato per aver rilanciato l’ipotesi che aveva già spaccato i dem dopo le elezioni del 4 marzo 2018. E riapre la frattura tra la maggioranza e i renziani, dopo i due casi che hanno agitato le acque del partito nelle ultime ore: l’annullamento dell’elezione del segretario siciliano Davide Faraone e il tweet al vetriolo del segretario su Michele Anzaldi. Con l’ex premier che, tirato in ballo, spiega: “Non voterò la fiducia a un governo Pd-M5s”.
“Da parte di Renzi c’è stata più volte la rivendicazione orgogliosa di aver lasciato che Lega e 5 Stelle facessero il governo. Io credo che quella sia la madre di tutti gli errori. Sì, un grande sbaglio non avere fatto tutto quello che avremmo potuto fare per evitare la saldatura di Lega e 5 Stelle. Pensiamo ai danni che sono stati fatti in questo anno: danni materiali a famiglie, lavoratori, migranti, all’economia italiana e al sistema di valori condivisi del Paese”, spiega Franceschini al Corriere.
“La strategia dei pop corn – sottolinea – ha portato la Lega dopo un anno al 35 per cento. Abbiamo buttato un terzo dell’elettorato italiano, quello dei Cinque Stelle, in mano a Salvini”. Quindi marca le differenze: “È un errore mettere Lega e grillini sullo stesso piano”. Anche se “vedo come tutti i limiti enormi dei Cinque Stelle, vedo i toni insopportabili, vedo l’incapacità nell’azione di governo, vedo la disgustosa strumentalizzazione della vicenda di Bibbiano”. In sostanza, il reddito di cittadinanza o il ‘no’ alla Tav “sono errori politici” ma “non sono la stessa cosa del far morire la gente in mare o dell’accendere l’odio, che è ciò che Salvini fa ogni giorno”.
Quindi la proposta politica, un remake della Prima Repubblica: “Si può aprire un tema politico senza che parta una campagna interna di aggressione? Senza i #senzadime, o l’accusa di volere poltrone? E si può dire che senza la ricostruzione del campo di centrosinistra e la ricerca di potenziali alleati che sta facendo Zingaretti difficilmente il Pd potrebbe arrivare col proporzionale al 51%. Nella Prima Repubblica – ricorda – c’era l’arco costituzionale, che comprendeva forze di maggioranza e di opposizione, Dc e Pci, ed escludeva Msi e l’estrema destra. Oggi io vorrei si lavorasse per cercare di costruire un arco di forze che, anche se non governano insieme, sono pronte a difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta e violenta ogni giorno”.
I renziani non ci stanno e interpretano quanto accaduto in Sicilia come una strategia dei vertici per avvicinare il partito al M5s. “Stanno epurando a uno a uno i renziani del Pd per dimostrare ai 5S che ci sono le condizioni per un accordo – ha detto l’ex segretario regionale Pd, Davide Faraone, in conferenza stampa a Palermo – La Sicilia diventa laboratorio politico di un esperimento del genere”. “Si tratta solo di epurazione politica – ha aggiunto Faraone, che dopo l’annullamento della sua elezione a segretario si è autosospeso dal partito – Faraone dice no all’inciucio e quindi va cacciato”. “La conferma – sostiene – viene dalla sua intervista di oggi al Corriere della Sera. E’ un’operazione cinica e pericolosa contro la quale mi batterò fino alla fine. Mi hanno perfino offerto una poltrona a Roma (segreteria nazionale, ndr) ma non sono interessato. Io non mi arrendo, non faccio passi indietro”. “Se il Pd dovesse andare in quella direzione – ha aggiunto Faraone – penso sia inevitabile costruire una forza politica nuova che impedisca percorsi di questo tipo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Matteo Renzi: “mi piacerebbe che chi come Dario è in politica da decenni avesse l’onestà intellettuale di fare un’analisi meno rozza“, premette l’ex segretario in un lungo post su Facebook. “Chiedo solo una cosa: se qualcuno vuole davvero fare l’accordo con i Cinque Stelle ci provi, alla luce del sole, senza dover attaccare me – scrive il senatore – Io non condivido questa scelta e per il rispetto che devo a chi mi ha eletto nel collegio, non voterò la fiducia a un governo Pd-Cinque Stelle. Chi vuole provarci lo faccia: nessuno potrà impedirmi di oppormi ad alta voce come è mio diritto. E come è mio dovere. Si può rinunciare a una poltrona, come io ho fatto più volte, ma non si può rinunciare alla dignità”.
“A prima vista sono rimasto colpito dalla raffinatezza dell’analisi politica, ma devo rileggere più volte il post per cogliere meglio alcune sofisticate sfumature“, ha commentato ironico Franceschini con i cronisti a Montecitorio.
“Nessun governo con il M5s è alle porte e nessun governo con il M5s è l’obiettivo del Pd. Questo anche Franceschini lo dice in modo chiarissimo”, ha risposto Zingaretti. “Così come prendere atto che ci sono due forze diverse – ha aggiunto – significa semplicemente evitare che sempre di più diventino un blocco. Invece non è così”. “Il mio appello – ha detto ancora Zingaretti – è dunque combattere per il nostro Paese perché ci vogliono distrarre dai loro disastri e da una agenda che anche questa settimana è molto pericolosa”. C’è una agenda – ha concluso il segretario – di forte battaglia politica”.
I litigi nel partito sono all’ordine del giorno. Domenica a far salire la tensione era stato Michele Anzaldi. “Gasparri”, aveva scritto il deputato renziano su Twitter il 20 luglio, “dice che qualcuno deve tapparmi la bocca e il direttore del Tg2 Sangiuliano mette un like al suo tweet. Spero che il segretario Zingaretti possa dire presto una parola su questa vergogna altrimenti ci sarebbe davvero da pensare seriamente di restituire la tessera”. La replica del presidente della Regione Lazio era arrivata in serata: “A parte i saluti non ho mai conosciuto o parlato con l’onorevole del mio partito Michele Anzaldi, mi fa piacere che oggi si ricordi che sono il suo segretario. A lui va tutta la mia solidarietà. Ovviamente a nessun parlamentare può essere chiesto di tacere, Gasparri deve saperlo”.
Oltre agli attacchi dei renziani su Twitter, le risposte risposte a Franceschini sono arrivate da Luigi Marattin e Sandro Gozi, tra i dem, e dal vicepremier Luigi Di Maio. Il leader M5s bolla come “fantasie” quelle dell’ex ministro: “I media ogni giorno provano ad accostarci alle altre forze politiche. Ormai è diventato l’hobby di molti commentatori e pseudo analisti politici. Perché lo fanno? Per mettere zizzania. Ci provocano in tutti i modi, ma forse non hanno ancora capito una cosa: noi siamo orgogliosamente diversi da tutti gli altri. E lo abbiamo dimostrato in questi anni con i fatti”. Quindi l’affondo: “Non vogliamo avere nulla a che fare con un partito che invece di supportare la nostra battaglia di civiltà nei confronti dei cittadini, ha saputo criticare il reddito di cittadinanza e oggi sta facendo le barricate contro il salario minimo. Noi siamo profondamente diversi da questi individui che hanno tradito la fiducia degli italiani”.
Marattin, invece, non cita mai Franceschini: “Un dirigente Pd (pure emiliano-romagnolo) che il giorno dopo che Di Maio dice “il Pd in Emilia Romagna toglie i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderli” dice sul più importante quotidiano italiano “insieme al M5S possiamo difendere certi valori”. Sono tempi strani”. Diretto Gozi: “Caro Dario Franceschini, anche i partiti di Orban e Kaczynski hanno votato Von der Leyen. Vogliamo fare una maggioranza ‘europeista’ anche con loro? Su Russia, Stato di diritto, Venezuela, fake news, ad esempio, che si fa con M5S? Ci mettiamo tutti il gilet giallo?”.
In serata, un segnale più che sibillino è arrivato da Carlo Calenda, che ha parlato alla Festa dell’Unità di Roma. “Se facciamo un’alleanza con M5S io me ne vado subito“, ha detto l’ex ministro. “Io non intendo fare la scissione – ha aggiunto-, voglio allargare e non spaccare nel Pd. Ma se non si esclude in modo definitivo da qui alle elezioni un governo con M5S cambia tutto. Il problema di fare una cosa diversa per me c’è, se il nodo non viene sciolto”.