Roberto Formigoni è uscito dal carcere di Bollate dopo 5 mesi di detenzione. L’ex governatore della Lombardia, condannato in via definitiva per corruzione a 5 anni e 10 mesi, ha ottenuto il sì del Tribunale di Sorveglianza di Milano per scontare la pena ai domiciliari nell’abitazione di un suo amico. L’ex presidente della Regione, ritenuto colpevole nell’ambito del processo Maugeri-San Raffaele, era stato condotto in cella lo scorso 22 febbraio dopo la pronuncia della Cassazione, che aveva sancito in via definitiva la sua condanna.
La retroattività dello Spazzacorrotti – I suoi avvocati, Luigi Stortoni e Mario Brusa, durante l’udienza tenutasi giovedì, aveva sollevato la questione dell’irretroattività della legge Spazzacorrotti, che ha imposto una stretta alle misure alternative al carcere per i pubblici ufficiali condannati per corruzione, anche se ultrasettantenni. Proprio in ragione dell’età di Formigoni, oggi 72enne, il sostituto procuratore generale di Milano, Nicola Balice, aveva dato parere favorevole all’istanza relativamente alla “collaborazione impossibile”, posta dai legali, e negativo sulla non retroattività. Sulla questione della “collaborazione”, Laura Pedio, che ha sostenuto l’accusa nei primi due gradi di giudizio, aveva trasmesso un parere nel quale sosteneva che il Celeste potrebbe ancora fare luce su questioni ‘oscure’ e aggiunto che, se avesse voluto collaborare in passato, avrebbe potuto almeno farsi interrogare, cosa che ha invece sempre rifiutato.
“Comprendo disvalore mie azioni” – Formigoni, che ha voluto essere presente lo scorso giovedì in udienza davanti al collegio presieduto da Giovanna Di Rosa, avrebbe detto durante l’udienza di avere accettato la condanna, requisito indispensabile per ottenere i benefici penitenziari. Polo bianca, jeans e visibilmente dimagrito, l’ex governatore ha detto: “Comprendo il disvalore dei miei comportamenti”. Nel marzo scorso la Corte d’Appello aveva respinto la richiesta della difesa del politico azzurro di dichiarare l’inefficacia del provvedimento che lo aveva portato in cella a Bollate, firmato dal magistrato Alfonso Lamanna: “L’ordine di carcerazione – avevano scritto i giudici – è stato legittimamente eseguito”. Ora, invece, il Tribunale di Sorveglianza ritengono “adeguata” la misura domiciliare per “molteplici fattori a partire dall’età”. Nel lungo dispositivo (leggi) si evidenzia come Formigoni abbia iniziato “un percorso di recupero”, attraverso la “revisione delle condotte assunte” e riconoscendo “il disvalore” delle condotte che lo hanno portato alla condanna.
La lettera di un mese fa – “Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello”, aveva scritto un mese fa l’ex governatore in una lettera inviata alla rivista Tempi. Nella stessa missiva, l’ex presidente aveva anche parlato della vita di tutti i giorni in carcere dove c’è “poco tempo utile nella giornata. E dunque a maggior ragione il tempo non va sprecato”. E ancora: “C’è il tempo per la corrispondenza: le lettere, le mail e i messaggi che per settimane mi sono arrivati a fiumi (ben oltre 2mila) oggi hanno un po’ rallentato il ritmo, ma – aveva sottolineato – ogni giorno ci sono nuovi arrivi. È qualcosa di straordinario, che mi emoziona e mi sorprende ogni volta”.
Le cene, i viaggi e gli yacht – All’ex presidente della Regione Lombardia – che si è sempre dichiarato innocente – è contestata una corruzione fatta di cene, viaggi e gite in barca. Divertimenti e anche un acquisto agevolato di una villa in Sardegna. Tutto pagato con i soldi fuoriusciti dalla casse dell’istituto Maugeri di Pavia e dell’ospedale San Raffaele di Milano. Per questo il pm di Milano Laura Pedio, durante il processo di primo grado, ricordò come “70 milioni di euro” erano stati “tolti ai malati per i suoi sollazzi”. Una”serie di utilità” per favorire i due enti lombardi con delibere di giunta per circa 200 milioni di euro di rimborsi pubblici.
L’indagine della Finanza – Secondo quanto hanno ricostruito dagli investigatori della Guardia di Finanza, tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (reato ormai prescritto) sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni di euro. Un fiume di denaro che poi era transitato attraverso i conti di società “schermate”, per poi tornare nella disponibilità dell’imprenditore e faccendiere Pierangelo Daccò e dell’ex assessore regionale Antonio Simone (entrambi hanno patteggiato in appello, ndr) ed essere messi a disposizione di Formigoni e degli allora vertici del Pirellone.
Il meccanismo – Per lui e per il suo entourage, Daccò e Simone avevano organizzato vacanze ai Caraibi, o su yacht in Costa Azzurra e in Sardegna, cene in ristoranti stellati e hanno fatto recapitare intere casse champagne. A questi benefit si aggiungono diverse migliaia di euro di contributi elettorali e una villa in Costa Smeralda venduta da Daccò all’amico del Celeste, il commercialista Alberto Perego, a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato. Proprio il professionista si era offerto di acquistare l’immobile che è stato sequestrato dopo la sentenza di primo grado. In cambio, il Pirellone aveva approvato diverse delibere di giunta, modificato la legge sul no profit e riconosciuto fondi per le funzioni non tariffabili, per favorire la Maugeri e il San Raffaele.