“La riforma della giustizia dovrebbe andare in consiglio dei ministri la prossima settimana”. Lo annuncia il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede che durante la trasmissione Omnibus su La7 che conferma che per eleggere i togati del Consiglio superiore della magistratura sarà utilizzato il sorteggio. Un metodo per “cercare di togliere la magistratura dalle grinfie delle correnti. Io sono aperto al dialogo con l’Anm ma su questo non si torna indietro. Sono disponibile al confronto e ai consigli degli altri ministri, in particolare con la ministra Bongiorno ho sempre lavorato bene, ma mi piacerebbe che i suggerimenti sulla riforma non mi arrivassero dai giornali”.
Da giorni il Guardasigilli sottolinea l’importanza di “voltare pagina” e di “punto da cui non si può prescindere” riferendosi all’inchiesta di Perugia – in cui è indagato l’ex presidente dell’Ann Luca Palamara – che ha svelato le trame di alcuni magistrati per incidere sulle nomine e che investito l’organo di autogoverno dei giudici. “Il sorteggio – aveva detto nei giorni scorsi Bonafede – non cura tutti i mali, ma è un passo avanti e non toglierà la possibilità ai magistrati di esprimere il proprio consenso. Buttiamo all’aria le logiche della spartizione che non devono far parte del sistema della giustizia”. Il ministro cita poi un altro punto della riforma: “i membri laici non potranno essere persone che nei precedenti 5 anni siano state in Parlamento o abbiano avuto incarichi di Governo”.
Ma nei giorni scorsi l’Anm, associazione nazionale magistrati, aveva criticato alcuni aspetti della riforma attraverso le parole del nuovo presidente Luca Poniz aveva ribadito il no al sorteggio. Che, stando alle toghe, è “manifestamente incostituzionale in tutte le sue versioni“, compresa l’ultima che affida a questo strumento la selezione dei magistrati candidabili, tra i quali saranno eletti in un secondo momento quelli che avranno ottenuto il maggior numero di voti. Dall’altro ha un significato inaccettabile: “è irricevibile il messaggio di sfiducia che si dà nei confronti dell’intero corpo elettorale della magistratura”, che non può “più scegliere i propri rappresentanti al Csm”. Per le toghe nella riforma ci sarebbe una “volontà punitiva” anche nelle norme che ampliano gli illeciti disciplinari. Una critica che non sembrava una dichiarazione di guerra al ministro. “Con lui il rapporto è molto buono, gli riconosciamo una sincera volontà di dialogo”, diceva Poniz.
Nei giorni scorsi, dopo la rivelazione della bozza da parte dell’agenzia Ansa, il sindacato delle toghe aveva criticato le sanzioni disciplinari, introdotte per i pm che per “dolo o negligenza inescusabile” non rispettano la nuova tempistica prevista per le indagini preliminari. Inoltre, i pm che entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo per la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio restano inerti, avranno l’obbligo di depositare gli atti di indagine compiuti. E chi non lo farà, sempre per dolo o negligenza inescusabile, compirà un illecito disciplinare. La riforma prevede che se entro 3 mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari (che diventano 5 o 15 per i reati più gravi). Se il pm non ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini (è l’atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio) o non ha richiesto l’archiviazione, scatta la tagliola: l’obbligo per il pubblico ministero di notificare “senza ritardo” all’indagato e alla persona offesa dal reato “l’avviso del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate “, informandoli della facoltà “di prenderne visione ed estrarne copia”. La notifica di questo avviso potrà essere ritardata “per un limitato periodo di tempo e con provvedimento motivato” per i reati più gravi, come mafia e terrorismo in testa. La violazione di queste norme – è scritto nella bozza di riforma – costituisce un “illecito disciplinare, quando il fatto è dovuto a dolo o negligenza inescusabile”. Se dopo l’avviso alle parti il pm resta inerte, cioè non esercita l’azione penale e non chiede nemmeno l’archiviazione “entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della parte offesa, il suo comportamento integra appunto “un illecito disciplinare, quando il fatto è dovuto a dolo o negligenza inescusabile”.