È stata la più grande impresa pokeristica italiana di sempre! Il 32enne napoletano Dario madgenius Sammartino, dopo ben dieci giorni di estenuanti ed emozionantissime battaglie ai tavoli, si è classificato secondo (fra 8.569 partecipanti) al Main Event delle World series of poker (Wsop), il più importante torneo del mondo, da tutti considerato come “il” campionato del mondo.
E ve lo premetto da subito, la fortuna non c’entra. Sammartino è arrivato dove nessun altro italiano era mai riuscito ad arrivare perché è bravissimo e ha giocato benissimo, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione dei più celebri professionisti. Concentrazione assoluta per dieci giorni, anche fino a 12 ore al giorno, disciplina, pazienza, mindset, completa padronanza della matematica del gioco, studio degli avversari e dei loro pattern di gioco, livelli di pensiero sempre uno scalino più profondi dell’avversario di turno, psicologia del tavolo, riconoscimento dei tell (segnali corporei involontari), continuo confronto del proprio stack (le chips che si hanno) con quello degli avversari e con i livelli dei bui.
In altre parole assoluta consapevolezza e padronanza della situazione, sempre: questo c’è dietro la performance di Sammartino. E sì, nella singola mano c’è anche la fortuna, non si vince un simile torneo senza qualche mano fortunata: ma gli “umani” potrebbero anche scegliersi le carte e contro Sammartino perderebbero lo stesso. Sia ben chiaro. Come perderebbero a tennis contro Roger Federer, anche se lui avesse una racchetta più piccola.
Per la cronaca, il titolo è andato al tedesco di origine iraniana Hossein Ensan, il quale ha avuto parole di elogio per il nostro Dario, che nell’heads up finale (testa a testa) ha ceduto solo dopo oltre cento mani. Ah, ovviamente si giocava Texas Hold’em: il vetusto pokerino all’italiana delle atmosfere fumose, delle bische clandestine e dei bari… non esiste più. E meno male!
Comunque Sammartino, da giocatore completo che è, è fortissimo in molte delle varianti pokeristiche: non a caso durante queste Wsop si è anche classificato terzo al torneo del tecnicissimo Horse, un mixed game composto da cinque specialità che si alternano al tavolo, tutte giocate limit: Hold’em (H), Omaha Hi-Lo (O), Razz (R), Seven-card stud (S), Eight or better, cioè Seven-card stud Hi-Lo (E).
L’impresa di Sammartino ha davvero entusiasmato tanti, il tifo per lui era festoso e genuino, perché Dario è benvoluto da tutti. Umile e gentile, è anche generoso; al torneo, anziché i logo di una qualche poker room, nella sua giacca faceva bella mostra la sigla Reg (Raising for Effective Giving), una charity che si propone di “ridurre la sofferenza del mondo” nel modo più efficace possibile, utilizzando anche le capacità di analisi e di logica proprie dei professionisti del poker. Ognuno del gruppo dona sistematicamente una percentuale significativa di tutte le proprie vincite.
Allarghiamo un po’ il quadro. Io insisto, come ho già più volte precisato in questo blog:il poker è un gioco di abilità (con una componente aleatoria nel breve termine) e non dovrebbe in nessun modo essere considerato un gioco d’azzardo. Ho già messo in conto che molti non saranno d’accordo, soprattutto quelli che parlano senza avere la minima idea di come funziona il mondo del poker. Lo Stato italiano invece non fa distinzioni e tratta il poker al pari delle slot machine, imponendogli quindi limitazioni che non dovrebbe avere e che invece io considero troppo blande per le slot.
In un’intervista a PokerFactorTv, Sammartino lamenta fortemente l’impossibilità per gli italiani di fare il professionista del poker, perché lo Stato pretenderebbe il 35% sulle vincite senza permettere di dedurre nemmeno le spese di iscrizione ai tornei (che poi non sempre si possono vincere): in nessuna professione sarebbe possibile pagare sul ricavato senza dedurre le spese! Questo ostacola fortemente la crescita di una vera scuola italiana e costringe chi comunque decide di fare il professionista a prendere residenza all’estero: non è data altra scelta!
Sammartino se la prende poi con l’azzardo di Stato, citando per esempio il Superenalotto: “si tratta – dice – di una rapina senza neanche la pistola, veramente una cosa triste”. E io non potrei essere più d’accordo: ne abbiamo parlato tante volte nel blog. Proprio relativamente al Superenalotto, anzitutto la vincita è un miraggio perché le probabilità per ogni giocata restano sempre di una su oltre 622 milioni; e poi per ogni giocata lo Stato recupera subito il 40% e mette in palio solo il restante 60%: come se giocando a testa o croce si pagasse un euro quando si perde e si incassasse 60 centesimi in caso di vittoria. In altre parole, una truffa legalizzata.
A onor del vero, a rendere complicata la situazione ci si mettono anche le poker room (quelle che gestiscono il poker online), molte delle quali propongono anche giochi di puro azzardo (sic!). A districare l’aggrovigliata matassa ci vorrebbe uno Stato che stia dalla parte della Ragione e non dell’Ipocrisia. Non c’è da sperarci!