Riluttante. Evasivo. A volte persino distratto. Robert Mueller ha testimoniato davanti alle Commissioni Giustizia e Intelligence della Camera e lo special counsel del Russiagate è apparso in diverse occasioni a disagio. Ha spesso chiesto di ripetere le domande; si è limitato a confermare seccamente quanto scritto nel suo rapporto; ha più volte rifiutato una risposta (qualcuno li ha contati: 206 i “can’t answer”, non posso rispondere). Nella sua testimonianza non c’è stata alcuna novità significativa, tale da cambiare drammaticamente il corso della presidenza di Donald Trump. Mueller ha però confermato la cosa forse più importante: e cioè che “Trump non è stato discolpato dal rapporto” e che “potrebbe essere incriminato per ostruzione della giustizia”, quando non sarà più presidente. In rari momenti di indignazione, lo special counsel ha però anche messo in guardia contro possibili ingerenze future nelle elezioni. “Spero che non sia la nuova normalità. Ma temo che lo sia”, ha detto.
L’audizione alla Camera – lunghissima, oltre sei ore – ha seguito un copione particolarmente studiato. Da un lato, i democratici hanno insistito con una tenacia ai limiti dell’esasperazione sugli undici episodi di “ostruzione della giustizia” presenti nelle 448 pagine del rapporto. Hanno cercato, più volte, di far leggere a Mueller le parti in cui il presidente è accusato di aver minacciato i testimoni, o di aver promesso loro il perdono presidenziale nel caso fossero condannati per falsa testimonianza. Chiara la ragione della richiesta. Quelle frasi, in bocca a Mueller, sarebbero apparse molto più significative, prove più “pesanti” delle colpe del presidente.
Mueller, consapevole della cosa, ha sempre rifiutato di leggere le frasi del rapporto, chiedendo invece ai democratici di farlo e limitandosi a confermare con veloci cenni del capo e battute come “Vero” o “Corretto”. Il massimo che sono riusciti a ottenere da un abbonatissimo Mueller è stato appunto il riconoscimento che gli undici casi di ostruzione della giustizia si sono verificati, e potranno essere usati in futuro contro Trump. La strategia dei repubblicani, apparsi compatti nella difesa del presidente, è stata invece quella di screditare il più possibile Mueller, i suoi uomini, la sua inchiesta. Più volte è stata messa in dubbio la sua integrità ed equidistanza. Lo si è accusato di aver abusato del suo ruolo per colpire Trump; di aver travalicato i limiti di indagine che la legge dà allo special counsel; di aver gettato senza motivo l’ombra dell’ostruzione della giustizia sul presidente; di essersi circondato di collaboratori di fede democratica, con un unico obiettivo in testa: distruggere Trump.
Questo è stato in effetti forse il solo momento in cui Mueller è apparso reattivo, quasi piccato. Al repubblicano Kelly Armstrong, che nel suo intervento elencava i presunti legami tra il team di Mueller e Hillary Clinton, lo special counsel ha spiegato di non aver mai, in 25 anni di lavoro all’FBI, chiesto la fede politica di un suo collaboratore; e che comunque gran parte della sua squadra era composta di dipendenti del Dipartimento alla Giustizia, quindi di funzionari di lungo corso e di provata integrità e imparzialità. Per il resto, Mueller è apparso molto poco interessato a contrastare i lunghi monologhi e le accuse dei deputati repubblicani. A Louie Gohmert, deputato del Texas che ha alzato la voce e ha accusato Mueller di “non aver perseguito la giustizia, bensì perpetuato l’ingiustizia”, lo special counsel non ha nemmeno risposto. È rimasto a guardarlo, senza far trasparire alcun sentimento.
Tra i punti portati a casa dai democratici durante la testimonianza di Mueller c’è sicuramente la questione dell’ostruzione della giustizia. Lo special counsel ha ripetuto che l’incriminazione per ostruzione di Trump non c’è stata perché è prassi del Dipartimento alla Giustizia di non procedere all’incriminazione di un presidente in carica. In una risposta al democratico Ted Lieu, Mueller è anche andato più in là. Ha infatti spiegato che, non fosse stato per la norma del Dipartimento alla Giustizia, Trump sarebbe stato incriminato (una dichiarazione che, poco dopo, lo stesso Mueller ha chiesto di rivedere, preoccupato probabilmente di essersi spinto troppo in là). I repubblicani hanno però messo a segno un punto importante con James Sensenbrenner, deputato del Wisconsin. “Se a giudizio del Dipartimento alla Giustizia non si può incriminare un presidente in carica – ha detto Sensenbrenner – perché c’è stata tutta questa indagine, quando sin dall’inizio si sapeva molto bene che non si sarebbe potuto incriminare Trump?”. È stato un modo per sottolineare l’inutilità di mesi di indagine; i mesi persi, e i soldi dei contribuenti spesi, per arrivare a qualcosa di cui già in partenza si conosceva l’esito.
Forse il momento più significativo di tutta la testimonianza di Mueller è stato quello politico, quando lo special counsel ha affermato che i tentativi di manipolare le elezioni Usa non si limitano al 2016, ma continuano e continueranno nel futuro. “Mentre parliamo, stanno interferendo nelle nostre elezioni”, ha detto Mueller, che ha anche censurato le lodi che nel 2016 Trump rivolse a Wikileaks – responsabile della pubblicazione delle mail del Comitato nazionale democratico. “Si tratta di un fatto problematico”, ha detto. Nell’insieme il procuratore è però apparso poco incisivo, in certi momenti quasi fragile nella difesa del suo rapporto. Del resto, questa testimonianza Mueller non l’ha cercata, né davvero voluta. Funzionario di governo, a proprio agio nell’articolare prove e fatti più che giudizi e parole, Mueller è stato travolto dal clima di polemica e divisioni che regna a Washington. Se i democratici speravano di trovare nella sua testimonianza una nuova spinta per l’impeachment, quella speranza è andata sicuramente delusa. Non c’è davvero nulla, nelle parole di Mueller, che possa orientare i repubblicani del Congresso a votare per la messa sotto accusa di Trump. Il presidente l’ha capito, tanto che a fine audizione ha twittato entusiasta: “La verità è una forza di natura”, ringraziando ironicamente i democratici per lo “spettacolo disastroso”.