È già passato un anno dalla morte di Sergio Marchionne, per 14 amministratore delegato di Fiat, prima, e di FCA, poi, scomparso a causa di una grave malattia che era riuscito a tenere nascosta fino a pochi giorni prima di spirare. La sua dipartita aveva colto di sorpresa persino la dirigenza di FCA, costretta a correre ai riparti in fretta e furia, con una riorganizzazione manageriale fatta di vincitori, come Mike Manley, ex numero uno di Jeep, ora a capo di FCA; e vinti, come Alfredo Altavilla, ex capo della attività Emea di FCA, che ha subitamente rassegnato le dimissioni dalla compagnia italoamericana.
Alla presidenza è rimasto John Elkann, che ultimamente ha fatto sentire come non mai la sua presenza nell’affaire che vedeva destinate al matrimonio FCA e Renault. Nozze poi fallite. Ed era proprio un’ultima fusione industriale da mille e una notte che Marchionne andava cercando prima di ritirarsi dalla guida di Fiat-Chrysler: un definitivo coup de théâtre che lo avrebbe consacrato nella storia dei libri di finanza (dove è finito comunque).
“La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La ‘collective guilt’, la reponsabilità condivisa non esiste. Io mi sento molte volte solo”: una delle tante uscite di un manager carismatico, non ferratissimo in tema di automobili in senso stretto, ma dotato di una visione per gli affari più unica che rara.
E lui quella FCA se l’era caricata sulle spalle da solo, diventandone al contempo padre e padrone, col benestare degli Elkann/Agnelli, rimasti in disparte a godere i frutti delle imprese finanziarie di “Sergio”, a cominciare dal matrimonio con Chrysler, datato 2009. Oggi quel carico è ripartito su più teste: quella di Mike Manley, del direttore finanziario Richard Palmer o del nuovo capo operativo delle attività europee, Pietro Gorlier, strappato alla Magneti Marelli prima che l’azienda venisse ceduta ai giapponesi di Calsonic Kansei per sei miliardi di euro.
“A un anno dalla scomparsa di Sergio Marchionne, l’esempio che ci ha lasciato è vivo e forte in ognuno di noi”, commenta John Elkann, ricordando “decisione e coraggio” di quel cocciuto abruzzese naturalizzato canadese. Un uomo nato nel vecchio mondo, formatosi nel nuovo e capace di trasferire il suo imprinting gestionale a chi gli è succeduto, Elkann in primis. Non è un caso che sia stato proprio il nipote di Gianni Agnelli a portare avanti le trattative con Renault (e con i rappresentati dello stato francese, a cominciare dal ministro dell’economia Le Maire), prendendosi la responsabilità di far saltare il tavolo quando il gioco non valeva più la candela. “Proponendo a fine maggio una fusione fra il suo gruppo, Fiat Chrysler, e Renault, prima di ritirare poi l’offerta, l’erede dell’esuberante Gianni Agnelli è apparso per quello che oramai è: un capitano d’industria che decide da solo”, aveva scritto Le Monde.
Nozze che, oltre a sublimare il grande sogno “panindustriale” di Marchionne – fermamente convinto che nel mondo automotive sarebbero sopravvissuti solo quattro o cinque gruppi industriali maggiori – avrebbero permesso di attenuare (se non addirittura cancellare) quella che è la più grande colpevolezza del manager italocanadese: non aver lasciato basi solide per una gamma prodotto all’altezza di sfide enormi come quelle dell’elettrificazione e della guida autonoma. Lo scotto da pagare per poter indossare un’elegante cravatta sotto al solito maglione: quella cravatta che il 1° giugno dello scorso anno sanciva l’azzeramento definitivo del debito industriale di FCA, per anni perseguito da Marchionne come l’acqua nel deserto.
“Siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa fate duri una vita intera o perfino più a lungo”, suggeriva Marchionne a un gruppo di giovani laureandi, lui che sognava che Ferrari tornasse a trionfare in Formula 1 e l’auto italiana ottenesse il suo riscatto oltreoceano: “Torneremo in America, con Fiat e soprattutto con Alfa, e non ci prenderanno più in giro”. Imprese titaniche (e spesso disattese), tanto da trasformarlo in un malato cronico del lavoro, incurante persino del male che gli covava dentro. “In tutta sincerità non riesco a vedere un mio futuro dopo la Fiat. Non è la prima azienda che ho risanato, ma è senza dubbio quella che credo mi stia permettendo di esercitare tutte le mie capacità. Temo di non avere dentro di me l’energia per un altro ciclo di questa intensità”. Purtroppo, ci aveva visto giusto ancora una volta.
Fatti a motore
Sergio Marchionne, un anno dopo. Cosa resta del manager dal maglione scuro
Il 25 luglio dello scorso anno moriva il capitano d'industria più ammirato del mondo, nonostante luci e ombre del suo operato in Fiat prima e in Fca poi. "L'esempio che ci ha lasciato è vivo e forte in ognuno di noi”, ha commentato John Elkann
È già passato un anno dalla morte di Sergio Marchionne, per 14 amministratore delegato di Fiat, prima, e di FCA, poi, scomparso a causa di una grave malattia che era riuscito a tenere nascosta fino a pochi giorni prima di spirare. La sua dipartita aveva colto di sorpresa persino la dirigenza di FCA, costretta a correre ai riparti in fretta e furia, con una riorganizzazione manageriale fatta di vincitori, come Mike Manley, ex numero uno di Jeep, ora a capo di FCA; e vinti, come Alfredo Altavilla, ex capo della attività Emea di FCA, che ha subitamente rassegnato le dimissioni dalla compagnia italoamericana.
Alla presidenza è rimasto John Elkann, che ultimamente ha fatto sentire come non mai la sua presenza nell’affaire che vedeva destinate al matrimonio FCA e Renault. Nozze poi fallite. Ed era proprio un’ultima fusione industriale da mille e una notte che Marchionne andava cercando prima di ritirarsi dalla guida di Fiat-Chrysler: un definitivo coup de théâtre che lo avrebbe consacrato nella storia dei libri di finanza (dove è finito comunque).
“La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La ‘collective guilt’, la reponsabilità condivisa non esiste. Io mi sento molte volte solo”: una delle tante uscite di un manager carismatico, non ferratissimo in tema di automobili in senso stretto, ma dotato di una visione per gli affari più unica che rara.
E lui quella FCA se l’era caricata sulle spalle da solo, diventandone al contempo padre e padrone, col benestare degli Elkann/Agnelli, rimasti in disparte a godere i frutti delle imprese finanziarie di “Sergio”, a cominciare dal matrimonio con Chrysler, datato 2009. Oggi quel carico è ripartito su più teste: quella di Mike Manley, del direttore finanziario Richard Palmer o del nuovo capo operativo delle attività europee, Pietro Gorlier, strappato alla Magneti Marelli prima che l’azienda venisse ceduta ai giapponesi di Calsonic Kansei per sei miliardi di euro.
“A un anno dalla scomparsa di Sergio Marchionne, l’esempio che ci ha lasciato è vivo e forte in ognuno di noi”, commenta John Elkann, ricordando “decisione e coraggio” di quel cocciuto abruzzese naturalizzato canadese. Un uomo nato nel vecchio mondo, formatosi nel nuovo e capace di trasferire il suo imprinting gestionale a chi gli è succeduto, Elkann in primis. Non è un caso che sia stato proprio il nipote di Gianni Agnelli a portare avanti le trattative con Renault (e con i rappresentati dello stato francese, a cominciare dal ministro dell’economia Le Maire), prendendosi la responsabilità di far saltare il tavolo quando il gioco non valeva più la candela. “Proponendo a fine maggio una fusione fra il suo gruppo, Fiat Chrysler, e Renault, prima di ritirare poi l’offerta, l’erede dell’esuberante Gianni Agnelli è apparso per quello che oramai è: un capitano d’industria che decide da solo”, aveva scritto Le Monde.
Nozze che, oltre a sublimare il grande sogno “panindustriale” di Marchionne – fermamente convinto che nel mondo automotive sarebbero sopravvissuti solo quattro o cinque gruppi industriali maggiori – avrebbero permesso di attenuare (se non addirittura cancellare) quella che è la più grande colpevolezza del manager italocanadese: non aver lasciato basi solide per una gamma prodotto all’altezza di sfide enormi come quelle dell’elettrificazione e della guida autonoma. Lo scotto da pagare per poter indossare un’elegante cravatta sotto al solito maglione: quella cravatta che il 1° giugno dello scorso anno sanciva l’azzeramento definitivo del debito industriale di FCA, per anni perseguito da Marchionne come l’acqua nel deserto.
“Siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa fate duri una vita intera o perfino più a lungo”, suggeriva Marchionne a un gruppo di giovani laureandi, lui che sognava che Ferrari tornasse a trionfare in Formula 1 e l’auto italiana ottenesse il suo riscatto oltreoceano: “Torneremo in America, con Fiat e soprattutto con Alfa, e non ci prenderanno più in giro”. Imprese titaniche (e spesso disattese), tanto da trasformarlo in un malato cronico del lavoro, incurante persino del male che gli covava dentro. “In tutta sincerità non riesco a vedere un mio futuro dopo la Fiat. Non è la prima azienda che ho risanato, ma è senza dubbio quella che credo mi stia permettendo di esercitare tutte le mie capacità. Temo di non avere dentro di me l’energia per un altro ciclo di questa intensità”. Purtroppo, ci aveva visto giusto ancora una volta.
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".