Ricordo che la prima volta che mi occupai di Tav fu quando, essendomi trasferito in Val di Susa, chiesi un colloquio con l’allora presidente della Comunità Montana, Antonio Ferrentino. In realtà il colloquio lo chiesi perché volevo propormi come scrittore di tutta una serie di itinerari escursionistici in valle. Ma poi, parlando del più e del meno, egli mi disse che lì a Caprie, proprio a poca distanza da casa mia, doveva passare l’interconnessione della Tav (so bene che si può dire anche il Tav ma a me piace di più il sostantivo sottinteso “linea”, che non “treno”).
Fu allora, che, vedendo il progetto, mi accorsi che, così come era stata tracciata la linea con il pennarello, sarebbe stato spazzato via un convento di suore: chi aveva tirato quella linea non era mai stato in valle. Già allora, parlo dell’inizio del millennio, la Tav era qualcosa che si doveva fare. Perché faceva girare dei soldi. Solo ed esclusivamente per quello. Probabilmente non si saprà mai se sono corse, se stanno correndo, se correranno tangenti. Non è questo il punto. Il punto è la sudditanza di un potere politico alla lobby delle costruzioni che quel potere da sempre sostiene.
Basterebbe questo per comprendere (non giustificare) questa grande opera, come buona parte della altre. Partendo da questo presupposto non è strano, anzi, che prima la linea sia stata giustificata con il traffico passeggeri. Poi, visto che la foglia di fico non teneva, ecco inventarsi la linea di trasporto merci e inventarsi altresì un corridoio Lisbona-Kiev per le merci tutto da realizzare, poi bene sbugiardato dal giornalista Luca Rastello nel suo Binario morto.
Del resto, per contestare quella classe politica che ne esaltava la necessità, sarebbe bastato il fatto che da quando nacque la repubblica i vari governi hanno finanziato solo ed esclusivamente opere per il trasporto merci su strada. Quello su rotaia è diventato una cenerentola. Improvvisamente, con la Tav il traffico merci diventa essenziale, ma guarda un po’… Però, dato che neppure i numeri del traffico merci giustificano la linea, che anzi è addirittura sovradimensionata rispetto al traffico che potrebbe sostenere, ecco che ci si inventa addirittura un flusso di traffico mirabolante per i prossimi decenni, tale da poter motivare appunto la realizzazione dell’opera.
La proiezione è ovviamente fasulla, lo ammetteranno poi gli stessi che i numeri se li inventarono. Ma non è finita qui. La Francia non ha mai previsto una tratta ad alta velocità per risalire la Maurienne, ed ecco allora i nostri politici convincere i francesi della necessità. E i francesi dire “va bene, ma i costi ve li accollate in buona parte voi”. Ed ecco fare opera di convincimento anche con l’Ue, che si decide ad inserire la tratta fra le opere infrastrutturali prioritarie.
Ma torniamo a quel colloquio con Ferrentino (allora No Tav, poi folgorato sulla via di Damasco e divenuto Sì Tav). Fino ad allora non mi ero mai occupato di Tav ritenendola ingenuamente un’opera futuribile, ma non immediata. Iniziai ad occuparmene attivamente. Conobbi la gente della valle (che poi avrei anche difeso per professione), fortemente motivata a fermare quell’opera perfettamente inutile che avrebbe devastato la loro valle. A chi oggi se la prende con i No Tav, tacciandoli di essere contro il progresso o addirittura terroristi, pongo una semplice domanda: cosa fareste voi se vi volessero realizzare una grande opera sotto casa e sapeste, numeri alla mano, che essa non serve a nulla? Pensateci.
La nostra battaglia (posso dire “la nostra” perché divenne anche una mia battaglia) sembrava esattamente quella di Davide contro Golia, anche se il re era palesemente nudo. Contro non avevamo solo un intero arco costituzionale (allora, ricordo, Rifondazione Comunista e i Verdi contavano come il due di picche), ma anche tutti i mass media (con l’eccezione del Fatto e de il manifesto). Risultato: non riuscivi a far trapelare la verità e cioè l’inutilità dell’opera. Addirittura i media travisavano la realtà pur di convincere la gente che l’opera andava fatta. Ricordo un giornalista di un grande quotidiano che, quando di notte la polizia picchiò a Venaus i manifestanti inermi, adottò per il pezzo un titolo del tipo “La polizia attacca i manifestanti durante la notte” e gli fu modificato con “Scontro nella notte fra manifestanti e polizia”.
Non credo che nella storia della repubblica un’opera sia stata pompata così tanto come la Tav, ma semplicemente perché è un’opera intorno a cui girano davvero tanti, ma tanti soldi. Pompata sia da quotidiani e sia da televisioni. Insomma, in questi anni ci è sembrato di vivere un incubo, credetemi. E quando il sistema (perché di sistema si tratta) passò dalle parole ai fatti, quando fu sgombrata con manganelli e idranti l’area della Maddalena (io ero lì a relazionare per questo giornale), ecco mettercisi anche la magistratura con un pool ad hoc per colpire i reati dei No Tav. Non quelli delle forze dell’ordine. E addirittura un “teorema Caselli”, secondo cui il movimento avrebbe avuto caratteristiche terroristiche (teoria poi smontata dalla Corte di Cassazione).
Così il quadro era completo, eravamo circondati: potere economico, potere politico, mass media, magistratura, forze dell’ordine. Sembrava non esserci scampo. O meglio, uno spiraglio di luce lo vedevamo: era Beppe Grillo, prima, e il M5S da lui creato, dopo. Alla Maddalena quella notte al nostro fianco c’erano tutti loro, i Cinquestelle, compresa quella Chiara Appendino che poi sarebbe diventata sindaco di Torino. Loro alle manifestazioni c’erano sempre ed erano in tutta Italia l’unica forza politica che denunciava l’inutilità delle grandi opere e lo spreco di pubblico denaro, oltre alla gratuita (questa sì) distruzione di territorio ed ambiente, dalla Tav al Tap al Terzo Valico. Nei Cinquestelle noi credevamo, molti li conoscevamo personalmente, e quando andarono in parlamento all’opposizione continuarono coerentemente la loro battaglia.
Ma poi venne l’abbraccio con la Lega, proprio il partito che più di tutti affonda le proprie radici nel cemento, proprio quello. Ed ecco allora, come logica conseguenza, un contratto di governo che non parla di consumo di suolo, non parla di abusivismo, dice sì al Terzo Valico, e dice addirittura nì, non più no, alla Tav. Ecco il sì al Tap, ecco il sì alla tratta Av Brescia-Padova, ecco l’Av Napoli-Bari. Magari, chissà e perché no, il Ponte sullo Stretto. Perché anche qui ci sono le penali, anche qui forse bisogna pagare. Già, perché il revirement dei Cinquestelle su tutte le grandi opere è che costa abbandonarle. In ultimo, il premier Conte con le sue dichiarazioni.
Innanzitutto allora, dico io, potevano risparmiare soldi per le analisi costi-benefici: perché pagare fior di esperti per poi usare i loro studi per dopo… (lascio alla fantasia del lettore). E poi, santo dio, parlare di necessità di risparmiare in un paese in cui le grandi opere vengono realizzate secondo itinerari balzani (in Piemonte l’autostrada Asti-Cuneo), oppure vengono realizzate senza una reale utilità (Pedemontana veneta su tutte) pur di finanziare l’industria delle costruzioni, fa francamente sorridere. Inventatene un’altra di balla, che sia più credibile, per favore.
Ma infine, anche ammesso e non concesso che in termini strettamente monetari gli abbandoni costino di più, i nostri politici, e qui mi rivolgo in particolare ai Cinquestelle, sanno che esistono i sistemi eco-sistemici? Che un consumo di suolo, un degrado dell’aria e dell’acqua hanno dei costi per la collettività? Sanno, molto più banalmente, che un ambiente sano viene prima di tutto, come del resto anche affermato dalla stessa Corte Costituzionale in più sentenze? Ma è tutto inutile. E per la Tav si andrà quindi al voto in Parlamento, con i Cinquestelle che faranno un po’ di manfrina, magari, già me lo immagino, tireranno fuori le bandiere No Tav. Una sceneggiata, e poi tutto continuerà esattamente come prima.
Gli eletti (non nel senso di “superiori”, per la carità) continueranno a fare i loro giochetti in parlamento al servizio delle lobby. Fuori si continuerà a bucare montagne, a estinguere sorgenti, a costruire abusivamente, a privatizzare beni comuni, a consumare suolo, a tagliare foreste, ad avvelenare il terreno, l’acqua e l’aria, a morire di cancro. “Il migliore dei mondi possibili”.