Sono tempi di stravolgimenti per lo sport italiano. Con la riforma varata dal governo e l’avvento di Sport e Salute, la società creata da Palazzo Chigi per togliere soldi e potere al Coni, tante cose stanno cambiando. In questo momento tutti sono concentrati sulla stesura del contratto di servizio, che dovrà regolare i rapporti fra vecchio e nuovo ente. Con tale e tanta mole di problemi da risolvere, però, proprio in questi giorni a Sport e Salute hanno trovato il tempo di inviare una comunicazione apparentemente formale, che potrebbe scoperchiare un altro vaso di Pandora (e far arrabbiare qualcun altro).
La scorsa settimana dall’ufficio del responsabile della prevenzione e della corruzione è partita una lettera a tutti i dipendenti della società (sono migliaia). Più che una lettera, di tratta di un questionario, una dichiarazione da compilare in materia di conflitti di interessi: il personale deve sottoscrivere di non avere motivi di conflitto di interesse “reale, apparente o anche solo potenziale” con la società e i suoi obiettivi. Tutto normale, pare un proforma. Ed in effetti lo sarà per tanti, ma non per tutti.
Fra le varie tipologie indicate dalla guida, ce n’è una in particolare che potrebbe mettere in grosso imbarazzo almeno un paio di nomi noti dello sport italiano. Non si tratta solo di non avere funzioni in altre società, o rapporti di parentela che possano confliggere con la missione di Sport e Salute. A un certo punto, i dipendenti sono chiamati a dichiarare di “non ricoprire, o avere intenzione di ricoprire, incarichi o cariche, elettive e non, negli organi statutari, del Coni o delle Federazioni sportive nazionali”. È una casella che alcuni non potranno barrare.
È cosa nota l’esistenza di una regola che vincola i presidenti federali a percepire come unico emolumento un’idennità onnicomprensiva da 36mila euro. È meno noto (lo rivelammo in un’inchiesta l’anno scorso sul Fatto Quotidiano) che non tutti i presidenti rispettano questo tetto: diversi hanno trovato il modo di aggirarlo. Quello più semplice e frequente è appunto essere assunti da una federazione o da Coni Servizi, farsi eleggere presidente ma continuare a percepire lo stipendio da dipendente. Di casi ce ne sono diversi: da Marco Giunio De Sanctis, uomo forte del Comitato paralimpico ora anche a capo della FederBocce (Fib), a Angelo Cito e Domenico Falcone, dirigenti rispettivamente di Taekwondo (Fita) e Judo (Fijlkam) di cui sono diventati anche presidenti.
C’è chi è assunto direttamente dalla Federazione (fuori dalla pianta organica), chi invece dipende proprio da Sport e Salute e dunque in questi giorni avrà ricevuto la lettera. Magari la domanda sulle cariche federali è solo una casualità, forse invece è il segno di una stretta imminente. Di sicuro i diretti interessati non potranno far finta di nulla: cosa risponderanno? Una vera e propria incompatibilità tra il ruolo di dirigente e presidente non è mai stata sancita, tant’è vero che il Coni negli ultimi anni ha fatto spallucce su queste situazioni, limitandosi a bloccare l’indennità da 36mila euro (prendevano già di più e di meglio). Il questionario inviato con l’avvento della nuova gestione, però, potrebbe sancire una svolta: se essere presidenti di una Federazione diventa a tutti gli effetti un “conflitto d’interessi” per i dipendenti di Sport e Salute, è giusto continuare a ricoprire il doppio ruolo?