Se uno si chiama Filadelfo (vuol dire “che ama i fratelli” secondo il dizionario dei santi e beati) è per definizione un uomo non necessariamente mite ma certo è qualcuno ben disposto nei confronti degli altri, “dell’altro” come dice un frate mio amico. Accusare dunque un Filadelfo di una qualche animosità nei confronti di un altro essere umano, sia pure un generale, è in qualche modo innaturale, o meglio contro-natura. Ma è quello che è successo al signor Pinizzotto di Catania, il nostro Filadelfo appunto.
Piccolo passo indietro. Filadelfo Pinizzotto, un nome che potrebbe ben stare in un libro di Sciascia o di Pirandello, è una persona suppongo mite, un impiegato dello Stato che da 34 anni lavora per il ministero della Difesa. Se lo vogliamo definire in burocratese è un assistente amministrativo. Al di là dell’etichetta, in concreto il suo lavoro ha a che fare con le armi. Forse fucili e pistole. Tiene i libri di carico e scarico? Tiene oliati ed efficienti gli otturatori? Non lo so. Nella complessa geografia degli impiegati dello Stato le qualifiche servono più che altro ad anonimizzarti, non a identificarti per quello che fai. E ai fini della nostra storia anche le mansioni, seppure ontologicamente fondanti, sono tutto sommato irrilevanti.
Nella retorica oggi prevalente (i politici rubano, gli immigrati stuprano, i dipendenti pubblici fanno timbrare il cartellino ai ragazzini) l’assistente amministrativo Pinizzotto Filadelfo potrebbe essere uno dei tanti tira-a-campa’ che affollano il pubblico impiego. Uno di quelli che per entrare al lavoro dovrebbero farsi prendere le impronte digitali à la mode de M.me Bongiornò. Non si sa mai che non sia lo zio. Ma è del tutto evidente che il signor Filadelfo non fa parte del cliché. Non si spiegherebbe altrimenti perché uno suppostamente fainéant dovrebbe una mattina, sotto la canicola del luglio catanese, prendere carta e penna per scrivere al colonnello comandante del 62° reggimento fanteria per fargli presente che egli medesimo, sottoscritto Ass. amm.vo, ritiene di non essere tenuto a incontrare nella piazza d’armi l’Autorità (con la “a” maiuscola come si conviene alle eccellenze) perché “non rientra nelle proprie funzioni e mansioni”.
Siamo onesti, uno che per entrare al lavoro dovrebbe farsi prendere le impronte digitali come fosse un ladro, scriverebbe una lettera del genere? Quando mai. La qualità suprema del nulla facente è il mimetismo, il camaleontismo. I ladri portano i guanti e non perché fa tanto chic. Nel mondo immaginato dalle Bongiorno&Co. tutto è fermo, immobile, silenzioso. Il massimo dell’esercizio fisico è prendere il cappuccino al bar.
Tant’è che il Col. f. t.ISSMI Aurelio Costa, comandante del 62° reggimento, si risente per tanto ardire e risponde alquanto piccato. “La disposizione di servizio in questione è semplicemente una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa legittima e conforme ai doveri di comportamento normalmente imposti” dice il Col. f. t.ISSMI Aurelio Costa (ai militari le abbreviazioni piacciono un sacco).
Ma in che cosa consiste questa “modalità di svolgimento dell’attività lavorativa legittima e conforme…”? Nello schierarsi sul piazzale per “incontrare” il comandante del Comando delle forze operative Sud (COMFOP SUD), generale di Corpo d’Armata Rosario Castellano. “Incontrare” è ovviamente un eufemismo. Nella lingua di tutti i giorni sarebbe più giusto dire “rendere omaggio”, l’unica cosa possibile quando da una parte ci stanno tre o quattrocento persone sull’attenti, un picchetto armato, un trombettiere (tra l’altro fatto venire da Messina addirittura il giorno prima perché probabilmente il reggimento non ne ha di suoi: non siamo mica al Settimo Cavalleria, perbacco), e dall’altro solitario e ieratico il generale. Vi risparmio i dettagli che, per gli amanti del genere sono pedantemente dettagliati in un librone che si chiama SMD G-106 “Regolamento per il servizio territoriale e di presidio”.
Ovviamente anche il colonnello Costa sa che nulla di tutto questo ha a che fare con il lavoro, quello vero, di Filadelfo Pinizzotto. Tant’è che nelle disposizioni per la giornata scrive: “al termine del saluto”. Saluto. Ovviamente un buongiorno o buonasera non basta. Serve mettere in piedi tutto un ambardam barocco che non ammette le obiezioni di un Filadelfo qualsiasi.
Risultato: un procedimento disciplinare. Con ciò che ne consegue: lettere, contro-lettere, rappresentanti sindacali. E mi si permetta una notazione del tutto personale, una buona dose di ridicolo. Me lo immagino già cosa potrebbe scrivere il Col. f. t.ISSMI Aurelio Costa nell’eventuale lettera di rimprovero: “Ass. Amm.vo addetto all’Ufficio logistico arbitrariamente decideva di continuare a fare il proprio lavoro anziché perdere tempo in cose inutili”.
Una cosa ha di sicuro imparato il signor Pinizzotto Filadelfo, come scrisse Pirandello nella novella La realtà del sogno: “nulla è più complicato della sincerità”. Ma ho l’impressione che già lo sapesse.