Nel 2017 un operaio ha raccontato che in una delle due aree in cui è diviso il sito nucleare in provincia di Vercelli vennero messi sotto terra dei fusti radioattivi. A giugno scorso ne sono stati trovati cinque in seguito agli scavi ordinati dalla Procura, che ha aperto un fascicolo. E potrebbero essere solo la punta di un iceberg
Due esposti ai carabinieri, un’interrogazione parlamentare e un’inchiesta della Procura della Repubblica. Eppure sono ancora molte le domande senza risposta nella vicenda dei rifiuti radioattivi che, come segnalato da un operaio nel 2017, sono stati interrati in una delle due aree in cui è diviso il sito nucleare di Saluggia (Vercelli), quella industriale del sito ex Sorin. Lo confermano le parole pronunciate dal presidente della Commissione Ecomafia, Stefano Vignaroli, dopo aver ascoltato quanto aveva da raccontare il rappresentante di Legambiente del Vercellese e della Valsesia, Umberto Lorini. Perché i cinque fusti trovati a giugno scorso, in seguito agli scavi ordinati dalla Procura di Vercelli che ha aperto un fascicolo, potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. “E anche l’indagine epidemiologica sulla popolazione che abita in quella zona, condotta diversi anni fa, lascia il tempo che trova” spiega Lorini a ilfattoquotidiano.it, perché “condotta solo sui residenti delle aree a ridosso del sito” e non sugli operai. “Questa storia merita di essere indagata a fondo” ha commentato Vignaroli.
IL SITO EX SORIN – D’altronde nell’area industriale del sito ex Sorin ancora oggi hanno sede reparti di produzione di alcune aziende del settore biomedico “e lavorano – sottolinea Umberto Lorini – circa mille persone”. Sotto al sito, invece, scorrono le falde acquifere che alimentano l’Acquedotto del Monferrato. Nel 2015, la Sorin (nata nel 1956 con azionisti Montecatini e Fiat, per effettuare ricerche nel settore nucleare) ha operato una fusione con l’azienda americana Cyberonics, dando vita alla multinazionale nel settore biomedico LivaNova, che ne ha ereditato stabilimenti, lavoratori e brevetti. Nel sito era presente il reattore nucleare di ricerca Avogadro, di tipo a piscina, costruito a scopi sperimentali nel 1959. È rimasto operativo fino al 1971 e, alla fine degli anni Settanta, è stato trasformato in deposito di materiale radioattivo. Da allora è stato gestito dalle società FiatAvio (fino al 2002) e poi da Avogadro srl, oggi Avogadro spa, tutte società del Gruppo Fiat.
LA DENUNCIA DELL’EX DIPENDENTE – Nell’autunno del 2017, come ricordato da Lorini in Commissione, il circolo Legambiente del Vercellese ha ricevuto la segnalazione di Carlo Alberto Tirone, ex dipendente della Sorin “su un interramento di rifiuti radioattivi avvenuto nel 2007, in occasione dei lavori di costruzione di un edificio industriale nel sito dell’azienda, allora Sorin Site Management (oggi LivaNova)”. La circostanza, segnalata ai direttivi nazionali di Legambiente, è stata oggetto di una prima segnalazione, corredata da foto aerea, coordinate e fotografie dell’interramento, inoltrata a novembre 2017, dall’allora presidente Rossella Muroni (oggi deputata LeU) ai carabinieri per la Tutela dell’Ambiente. Un anno fa la parlamentare ha firmato un’interrogazione, che ad oggi non ha avuto risposta. “A ottobre 2018 – spiega Lorini – l’ex presidente di Legambiente per il Vercellese, Gian Piero Godio, ha presentato un secondo esposto presso la stazione dei carabinieri competente per territorio, quella di Livorno Ferraris, con dettagli tali da consentire l’esatta individuazione del punto in cui ricercare i rifiuti”. Dopo la seconda denuncia e l’interrogazione, la Procura di Vercelli ha aperto un’inchiesta.
I FUSTI TROVATI DURANTE GLI SCAVI – Il 5 giugno scorso Arpa Piemonte, incaricata dalla Procura di Vercelli con funzioni di polizia giudiziaria, ha comunicato l’avvenuta esecuzione pochi giorni prima, il 28 maggio, di uno scavo nel corso del quale sono stati trovati dei fusti interrati. “Arpa Piemonte, presente durante le operazioni a supporto dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione – si legge nella nota – ha riscontrato livelli di radioattività superiori al fondo ambientale in prossimità dei fusti”. L’area dove sono stati stoccati i rifiuti è stata sequestrata e la Commissione presieduta da Vignaroli ha subito chiesto tutta la documentazione alla Procura.
LA POSIZIONE DELL’AZIENDA – LivaNova ha così diffuso ai propri dipendenti un comunicato, spiegando che “continua a collaborare con le autorità competenti nelle attività di indagine”. E ha ricordato: “Ai primi di agosto e alla fine di settembre 2018 sono state condotte due analisi geofisiche nel sito di Saluggia, alla presenza di funzionari di Arpa Piemonte e di Isin”, nell’area perimetrale del deposito rifiuti radioattivi e in una parte all’interno del deposito stesso. “Nulla venne segnalato – sempre l’azienda – nell’area indicata dall’interrogazione parlamentare (quella firmata da Rossella Muroni, ndr). Tuttavia, in una porzione di terreno adiacente – si precisa – fu identificata una linea interrata obliqua rispetto alla parete frontale del deposito, non riconducibile a sistemi conosciuti”. Per quanto riguarda il ritrovamento dei fusti, invece, l’azienda ha confermato che “gli immediati rilievi radiometrici di Arpa e Iren hanno rilevato contenuti valori di radioattività associati ai rifiuti”, ma che “alla data odierna non sono stati segnalati rischi per la salute e la sicurezza delle persone che lavorano presso il sito industriale di Saluggia”.
LEGAMBIENTE: “POTREBBE NON TRATTARSI DEI RIFIUTI INDICATI” – Quando la notizia del ritrovamento è stata resa pubblica, però, è accaduto qualcosa di inaspettato. L’ex dipendete da cui era partita la segnalazione si è recato alla Procura di Vercelli, dichiarando che i cinque fusti trovati nelle vicinanze dell’area da lui indicata (il contenuto dei quali non è stato ancora reso noto), non erano quelli a cui faceva riferimento nelle denunce, perché questi ultimi andavano cercati “sotto il pavimento del capannone per lo stoccaggio dei rifiuti realizzato da Sorin Site Management nel 2007”. Lì sarebbero stati trovati durante i lavori e lì avevano ordinato di sotterrarli di nuovo. “Quando venne costruito il capannone, a un operaio della ditta Fas di Crescentino – ha raccontato Tirone – è stato chiesto di fermarsi, dopo l’orario di lavoro, perché bisognava riprendere questo manufatto, fare la buca e riposizionarlo nello stesso punto in cui l’avevamo preso, sotto terra”. E per questo che l’ex dipendente ritiene che quei fusti ritrovati oggi rappresentino “una minima frazione del problema”.
LE INDAGINI – In Commissione, tra l’altro, Lorini ha anche percorso le fasi dell’indagine della procura, sottolineando che tuttora “non è stato ancora ascoltato né chi dell’azienda aveva ordinato i lavori, né la ditta esecutrice, né l’operaio a cui era stato chiesto di interrare i rifiuti”. Eppure i nomi di queste persone erano contenuti già negli esposti di Legambiente. La Commissione è già al lavoro per accertare alcuni aspetti non chiari di questa vicenda. “Vogliamo capire – ha dichiarato Vignaroli – quando di preciso è stata avviata l’indagine e se ci sono stati i ritardi emersi dall’audizione di Legambiente” e verificare “se, come dichiarato dal rappresentante dell’associazione, ad oggi molti soggetti coinvolti nella vicenda non sono ancora stati ascoltati dagli inquirenti”.