I guai giudiziari di Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista indagato per corruzione a Roma, non finiscono mai. Come riporta l’Espresso dopo le indagini aperte in Italia dai pm di Milano, Palermo e della Capitale, anche le autorità di San Marino scavano nel giro di denaro che ruota attorno al senatore, che in passato ha patteggiato una pena per bancarotta.
Cuore di questo nuovo filone “prestiti di favore a elevato rischio” concessi da una banca di San Marino: 750mila euro intascati tra ottobre e gennaio scorsi, quando era ancora esponente del governo gialloverde, e altri 600mila ottenuti tre mesi fa da un imprenditore a lui collegato. Secondo quanto riporta il settimanale questi finanziamenti sono stati considerati “contrari ai principi di sana e prudente gestione del reddito” dagli ispettori della Banca Centrale di San Marino e dell’Agenzia anti-riciclaggio (Aif), che dopo le verifiche hanno deciso di segnalare l’intero dossier alla magistratura. E di trasmettere gli atti anche alla procura di Milano. Che un mese fa aveva aperto una inchiesta per autoriciclaggio. Gli accertamenti degli inquirenti milanesi sugli affari di Siri a San Marino era nata all’inizio di quest’anno dalla segnalazione antiriciclaggio di un notaio milanese, rivelata da Report, che riguardava i 585mila euro utilizzati dal senatore per acquistare una palazzina alla periferia di Milano, intestata però a sua figlia.
Oggetto del fascicolo l’acquisto di una palazzina comprata da Siri a Bresso grazie a un mutuo da 585mila euro acceso da una banca di San Marino. A indagare i pm Sergio Spadaro e Gaetano Ruta, titolari anche del fascicolo per corruzione internazionale sul caso Savoini. Dagli atti, come rivela l’Espresso, risulta che la concessione del denaro non aveva ragioni finanziarie ma deciso dalla banca per avere “scambi e relazioni con il senatore, considerata l’importante posizione di sottosegretario“. Nelle pratiche, secondo le autorità di San Marino, ci sarebbero una serie di anomalie con documenti che risultano “alterati”, “cancellati”, “omessi” o “tenuti nascosti”.
Il senatore, ideologo della flat tax, è indagato a Roma per la “promessa e/o dazione” di 30mila euro da parte dell’ex deputato Paolo Arata in favore dell’allora sottosegretario “per la sua attività di sollecitazione dell’approvazione di norme” che avrebbe favorito lo stesso imprenditore nell’ambito del settore minieolico. In particolare l’approvazione di un emendamento che avrebbe fatto guadagnare a Vito Nicastri, imprenditore finito ai domiciliari con l’accusa di aver finanziato la latitanza del boss Matteo Messina Denaro, circa un milione di euro.