Politica

Fondi russi alla Lega, in un Paese normale si parlerebbe di tradimento

Lasciamo da parte per un momento la specifica contingenza politica italiana, ci torneremo dopo. Andiamo in astratto. Se in un Paese, qualunque Paese del mondo, una persona con importantissime responsabilità di governo fosse ragionevolmente sospettato di avere intessuto, grazie a intermediari di sua fiducia, rapporti che puntavano ad ottenere finanziamenti per milioni di euro da un Paese straniero, i cui interessi economici e geopolitici non sono minimamente vicini a quelli del suo Paese, ebbene questo personaggio sarebbe considerato un traditore del suo Paese e degli interessi dei cittadini che gli hanno dato la fiducia.

Se poi saltasse pure fuori la lettera con la quale l’ambasciatore del Paese straniero intimasse perentoriamente al politico di impedire – usando la forza pubblica – ai lavoratori di protestare contro un’azienda della potenza straniera e questi ubbidisse violando il diritto di manifestare liberamente, allora mi chiedo cosa gli succederebbe in qualsiasi luogo civilizzato della Terra.

Torniamo ai fatti concreti. Le vicende del Russiagate sono assolutamente note. Evito per brevità di ripercorrerle. Sostanzialmente, dalle conversazioni registrate emerge che gli uomini vicini al vicepremier Matteo Salvini contrattavano con interlocutori russi una transazione petrolifera con una cresta di 65 milioni di euro, che doveva andare a finanziare la campagna della Lega. L’affare poi, non si sa perché, al momento non sembra si sia concretizzato. Le responsabilità penali, se ve ne sono, le stabiliranno i giudici. Ma esiste la politica, che non è regolata dal codice penale. Appare chiaro che i russi avevano interesse a finanziare la Lega. Visto che a quel tavolo non c’erano Dame di San Vincenzo, è ragionevole pensate che la Lega e il suo leader offrivano qualcosa in cambio dei rubli. L’unica cosa che potevano dare era una politica che favorisse gli interessi del Cremlino dentro e fuori l’Italia.

Una piccola conferma arriva il 28 marzo scorso, quando l’ambasciatore russo Sergej Ruzov scrive al “caro Matteo” (così lo chiama) facendogli un solenne lisciabusso. Gli spiega che i signori della Lukoil hanno i cabbassisi girati a causa degli operai italiani che manifestano davanti ai cancelli della raffineria di Priolo perché non gli garba di essere licenziati. Ruzov in tono categorico spiega a Salvini che si aspettano un intervento più efficace per farli smettere. In Italia ci sarebbe una piccola difficoltà che si chiama Costituzione, nella quale il diritto di scioperare e manifestare ovunque è garantito. Un dettaglio. A stretto giro il desiderio (anzi l’ordine) dell’ambasciatore Ruzov viene esaudito.

A fare il lavoro è il Prefetto di Siracusa, Luigi Pizzi, che emette un provvedimento, più unico che raro, col quale vieta manifestazioni e persino assembramenti di persone davanti alla raffineria russa. È stata una balzana idea del Prefetto oppure il solerte funzionario ha eseguito ordini che arrivavano dal Viminale?

Giulio Andreotti, che aveva molti peccati sull’anima sua, ma di certo era profondissimo conoscitore delle vicende umane e politiche, soleva dire che “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.