Mark, nome di fantasia, ha meno di 18 anni e migliaia di euro in banca. Li ha fatti tutti creando follower su Instagram. Ne vende circa 10 mila per 35 euro. “Una cifra molto economica”, spiega. In fondo Mark è uno dei motivi per cui la Procter & Gambler ha deciso di disinvestire 85 milioni di dollari in pubblicità dal social network; è una delle cause per cui l’engagement (reale) degli instagrammer si è dimezzato negli ultimi tre anni, stando a uno studio di Influencer Db pubblicato da Mobile Marketer. Ed è uno dei protagonisti di Follow Me, il documentario olandese sul lato oscuro di Instagram, appena pubblicato su Youtube e… su Instagram.
“Creo follower di ogni tipo“, spiega a volto coperto Mark in un passo del video. “Ci sono quelli completamente falsi generati dal nostro software; quelli clonati da profili reali; e quelli proprio reali, di persone che in cambio di follower falsi mi consegnano il loro username e la loro password, autorizzandomi a mettere like e commenti col loro nome alle foto di qualcun altro”. Il ragazzo può convogliare al vostro indirizzo 100 mila like nel giro di pochi minuti. Un capitale piuttosto prezioso, nel social in cui la moneta corrente sono gli apprezzamenti.
Perché è un continuo scambio di cuoricini e frasette di circostanza, il lato più oscuro di Instagram. Più like significano più engagement, più engagement significa più follower, più follower significano più accordi di sponsorizzazioni con le aziende. Nella sua inchiesta sulla “popolarità assistita”, il giornalista olandese Nicolaas Veul viene anche a Milano, capitale italiana degli instagrammers, per intervistare Sara Melotti. 42 mila follower, travel influencer, la Melotti è una influencer “pentita”, decisa oggi a combattere contro il mercato dopato di Instagram.”Stiamo insegnando ai giovani che va bene barare”, dice l’italiana Sara Melotti in una parte della sua intervista. “Che la disonestà viene premiata e l’onestà penalizzata. Dobbiamo fare qualcosa”. Sara tira fuori il cellulare e apre su Whatsapp una chat di gruppo: dentro ci sono 10 mila membri. Ognuno linka un post su Instagram che ha appena pubblicato, e invita tutti gli altri a mettere like e commentare. Comment pods, si chiamano: gruppi di auto aiuto tra influencer.
A costruirci su un business più strutturato è stato tale Dimitri, un ragazzo russo fondatore di Commenter. Si tratta di un portale in cui chiunque può iscriversi e richiedere commenti o like ad altri iscritti. A usarlo sono le freelance come Katia, madre di un bambino che vive a Mosca e si arrangia gestendo pagine Instagram per conto di piccole società. “Vedi? Ho appena postato una foto dall’account di un salone di bellezza. Adesso ordino cinque commenti su Commenter”. Katia può indicare lei stessa, il contenuto dei commenti che desidera. Dall’altra parte della Russia, un’altra persona la soddisferà immediatamente non appena lei stessa avrà evaso altrettante richieste di commenti su altri account. È un network di falsi complimenti, una rete di circa 100 mila commentatori ipocriti, una truffa.
A partire da alcuni mesi, le aziende hanno iniziato a dotarsi di contromisure e a stringere accordi con società specializzate nell’individuazione dei profili “dopati”. Una delle più prestigiose è Dovetale, con sede a New York, che compila report per colossi come Mercedes, Universal e Starbucks. “Analizziamo i tassi di crescita dei follower, dei commenti e dei like attorno a un profilo, e riusciamo a stimare la percentuale dei contenuti falsi”, racconta il fondatore della società. “Secondo i nostri standard, ad esempio, il profilo di Katy Perry è seguito da un 20% di follower non reali”. Impossibile stabilire se quei profili siano stati comprati. Di sicuro, c’è solo che non valgono niente.