Il sacerdote è stato condannato in via definitiva. La Curia: "Nessuna responsabilità, padre Graziano agì non nell'esercizio delle sue funzioni"
“La Chiesa non ha alcuna responsabilità”. Questa la risposta della Diocesi di Arezzo, Cortona e Sansepolcro alla richiesta di risarcimento inoltrata dai familiari di Guerrina Piscaglia, la cinquantenne scomparsa misteriosamente il 1 maggio 2014 da Cà Raffaello, frazione del comune di Badia Tebalda (Arezzo). Il 20 febbraio 2019 la Cassazione ha condannato in via definitiva a 25 anni il frate congolese Gratien Alabi, conosciuto nella sua comunità come padre Graziano, per aver ucciso la donna con cui aveva una relazione e averne soppresso il cadavere.
LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO – Ad aprile scorso Mirko e Lorenzo Alessandrini, marito e figlio della donna, assistiti dagli avvocati Nicola Detti e Francesca Faggiotto, hanno intentato una causa civile contro la Curia di Arezzo e l’Ordine dei Premostratensi, al quale il prete appartiene. Una richiesta già ipotizzata dall’avvocato Detti quattro anni fa, quando aveva chiamato in causa la diocesi di Arezzo, sottolineando che il vice parroco congolese aveva commesso un reato “nell’esercizio delle sue funzioni spirituali, negli immobili della diocesi” e che “la diocesi e l’ordine avevano la responsabilità di vigilare sull’operato dei propri religiosi”. Nel 2015 quella richiesta era stata rigettata dalla Corte d’Assise, secondo cui il capo d’imputazione vedeva Alabi “non coinvolto per l’esercizio delle sue funzioni”.
LA RISPOSTA DELLA DIOCESI – La Diocesi di Arezzo, Cortona e Sansepolcro, guidata dall’arcivescovo Riccardo Fontana, ha risposto ai familiari della donna. Con una lettera redatta dallo studio legale Scognamiglio di Roma, riferisce il Corriere di Arezzo, la Diocesi aretina ritiene che le condotte del vice parroco di Cà Raffaello siano state “autonome” e che, in base a interpretazioni del codice civile e del diritto canonico, la Chiesa non avesse alcun ruolo di “direzione e sorveglianza” sul sacerdote. Dopo aver indicato altri motivi giuridici che esimerebbero la Diocesi da ogni responsabilità, invita inoltre il marito e il figlio della donna ad “astenersi da pretese risarcitorie infondate”, pur esprimendo vicinanza alla famiglia. La risposta non convince gli avvocati degli Alessandrini, che andranno avanti con l’azione civile per arrivare a discutere per la prima volta dell’aspetto civile in tribunale. Secondo i legali, infatti, esistono elementi per ritenere responsabile l’istituzione religiosa. Intanto perché Padre Graziano, anche nel processo, si era definito vicino alla donna come guida spirituale. E poi perché la situazione particolare che si era venuta a creare, sarebbe stata segnalata a rappresentanti della Chiesa.
LA SCOMPARSA – Guerrina Piscaglia è scomparsa dalla località dell’Appennino aretino dove viveva con la famiglia e dove il religioso prestava servizio nella locale parrocchia. Le indagini hanno ricostruito che tra i due c’era una relazione, confermata dalle testimonianze di persone amiche e dei numerosi contatti telefonici: 4.027 in quattro mesi. In primo grado il frate, che non ha mai confessato il delitto, era stato condannato a 27 anni. In appello, a 25. Secondo i giudici di secondo grado, padre Graziano ha ucciso la sua amante in un momento di rabbia, dopo la richiesta della donna di dare una connotazione diversa alla loro storia, sotto la minaccia di rivelare tutto ai suoi superiori. L’uomo ha quindi fatto sparire il corpo e depistato le indagini.
LA CONDANNA DEFINITIVA – La difesa di padre Graziano, rappresentato dall’avvocato Riziero Angeletti, ha sempre criticato le indagini, che non avrebbero seguito altre ipotesi, tra cui quella del suicidio. Lo stesso procuratore generale della Cassazione, Elisabetta Cesqui, ha riconosciuto che si tratta di un processo indiziario, arrivando però alle stesse conclusioni dei giudici d’appello. Così la prima sezione penale della Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di padre Graziano, confermando la condanna emessa dalla Corte d’assise d’appello di Firenze il 14 dicembre 2017. Padre Gratien Alabi, difeso dall’avvocato Riziero Angeletti, è rinchiuso nel carcere di Rebibbia, spera in un ricorso alla Corte Europea e cerca di indicare elementi nuovi per una revisione del processo. Intanto continua a dichiarasi innocente, mentre dalla Chiesa e dall’Ordine dei Premostratensi per ora non c’è alcuna conferma sulla riduzione allo stato laicale del sacerdote condannato per omicidio volontario.