Sono appena tornato da una missione in Palestina, dove ho potuto constatare la gravissima situazione esistente dal punto di vista della violazione dei diritti fondamentali della popolazione palestinese. Si succedono a ritmo costante le demolizioni di abitazioni che si accompagnano all’imposizione, ai nuclei familiari stabiliti in determinate località, di condizioni di vita disumane con l’obiettivo di determinarne la partenza. Lo scopo di tale strategia appare chiarissimo: il governo israeliano sta procedendo alla progressiva espulsione dei palestinesi dalle loro abituali residenze per fare spazio ai coloni, in evidente violazione dell’art. 49 comma 6 della IV Convenzione di Ginevra sulla tutela delle persone civili in tempo di guerra, secondo il quale “la potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”.
E’ noto come il governo israeliano abbia sempre sostenuto al riguardo delle buffe posizioni giuridiche, secondo le quali quello della Palestina non costituirebbe territorio occupato. L’articolo appena citato prevedrebbe esclusivamente l’ipotesi di trasferimento forzato della popolazione civile della potenza occupante e non già quella di trasferimento promosso e incentivato mediante un’ampia gamma di strumenti legali ed economici. Ma si tratta di posizioni assolutamente insostenibili.
Mentre la seconda tesi appare in chiaro contrasto con il tenore letterale della disposizione citata, la prima è stata smentita a chiare lettere dal parere del massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, la Corte internazionale di giustizia, che circa 15 anni fa, nel luglio 2004, si pronunciò sulla questione del muro che Israele stava costruendo in Palestina, affermandone la contrarietà al diritto internazionale. Sempre in tale occasione la Corte chiarì come, in quanto potenza occupante, Israele fosse tenuto non solo al rispetto del diritto internazionale umanitario e in particolare della IV Convenzione di Ginevra citata, ma anche a garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali, sia di natura civile e politica, che di natura economica, sociale e culturale della popolazione palestinese.
A 15 anni di distanza risulta sempre più evidente come il Muro costituisca viceversa uno strumento volto alla violazione dei diritti fondamentali. La costruzione del Muro continua, fino ad inglobare nuove porzioni di territorio palestinese, e si unisce al funzionamento di altri strumenti discriminatori come le licenze edilizie, negate ai palestinesi e accordate senza discutere ai coloni; il governo delle falde acquifere, il cui sfruttamento viene riservato agli insedamenti di questi ultimi; le strade di maggiore percorribilità, anch’esse riservate agli israeliani, e molti altri strumenti ancora.
Per quel che ho potuto vedere, i coloni sono spesso protagonisti di aggressioni e soprusi. Questi ultimi non risparmiano neppure i bambini in tenera età, che i coloni intimidiscono e minacciano di violenza per impedire loro di attraversare determinati luoghi che devono percorrere per raggiungere le scuole elementari. L’intervento dell’esercito israeliano volto a garantire la sicurezza dei bambini non sempre è efficace e tempestivo e fortunatamente vi sono forze della società civile, fra le quali un’organizzazione italiana, che con il loro intervento garantiscono la sicurezza dei bimbi.
A 15 anni dal Parere della Corte internazionale di giustizia sul Muro e a oltre 70 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, insomma, la situazione della popolazione palestinese oppressa dall’occupazione israeliana è assolutamente sconfortante e infonde una forte sfiducia nella vigenza del diritto internazionale. La lesione che deriva dal trattamento discriminatorio dei palestinesi va quindi al di là della loro situazione, pur importante, fino a investire le basi stesse della convivenza civile a livello interno e internazionale.
Ben consapevole ne era stata la Corte, che nei punti finali del dispositivo del parere citato aveva chiesto agli Stati e alle organizzazioni internazionali di adoperarsi per evitare nuove violazioni e ottenere il risarcimento di quelle consumate. Purtroppo però il bilancio da questo punto di vista appare abbastanza negativo, dato che imperativi di ordine geopolitico, specie dopo l’arrivo al potere di Trump, impediscono ogni seria pressione nei confronti di Israele per spingerne il governo ad attenersi a quanto stabilito dal diritto internazionale.
Il tema va tuttavia riportato al centro dell’attenzione, rompendo il silenzio che, come sempre, costituisce l’ambiente ideale per le violazioni dei diritti umani e il compimento, in taluni casi, di veri e propri crimini contro l’umanità.