La peste suina africana non è trasmissibile all’uomo e per lui non comporta rischi. La malattia è contagiosa soltanto per suini e cinghiali, e si trasmette attraverso il contatto diretto con gli animali infetti (e i loro escrementi) o, indirettamente, attraverso oggetti contaminati, come attrezzature, veicoli e indumenti, o con la somministrazione ai maiali di rifiuti alimentari contenenti carne cruda infestata dal virus (che resta contagioso da tre a sei mesi). Una pratica comunque vietata dai regolamenti europei dal 1980. “Gli allevamenti allo stato semibrado, con ricoveri all’aria aperta, o quelli familiari privi di muretti o doppia recinzione per difendersi dai cinghiali sono più a rischio contagio” sottolinea Silvio Borrello, a capo della direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute. “Nessun pericolo invece per gli allevamenti intensivi concentrati nella Pianura padana, sottoposti a norme di biosicurezza, dove – puntualizza Borrello – molto difficilmente riusciranno a penetrare i cinghiali”. L’unico rischio qui è rappresentato dall’imprudenza dell’allevatore: “Se rientra da un Paese infettato e non prende le dovute precauzioni per evitare la diffusione del virus; oppure se dà in pasto ai maiali scarti di un panino con salume contaminato” chiarisce il direttore.

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