Nel post precedente abbiamo esaminato la riforma in corso della previdenza sociale, sviscerandone i vari aspetti che oppongono le categorie finora trascurate ai privilegiati del sistema pensionistico. Riguardo agli affari esteri, l’accordo commerciale tra Mercosul e Ue ha trovato in Bolsonaro il motore trainante, e alla luce del patto di scambio tra tariffe doganali agevolate per l’import-export regionale, e un generico impegno nel rispetto degli accordi di Parigi sul clima, è proprio il Brasile a uscirne apparentemente vittorioso. Potrebbe però essere una vittoria di Pirro, se consideriamo le tragedie ambientali che hanno già provocato in Amazzonia danni irreversibili all’ecosistema e alle comunità indigene, uccidendo tra l’altro centinaia di persone.
Il crollo dei dazi
I dazi doganali d’importazione sui prodotti europei, che oggi incidono dal 14 al 18% su pezzi di ricambio, dal 14% al 30% sui macchinari industriali e agricoli, prodotti chimici (sopra il 18%), farmaceutici (sopra il 14%), vestiti e scarpe (35%) dovrebbero essere azzerati, secondo i comunicati ufficiali. La stessa sorte potrebbe toccare al vino e ai distillati, anch’essi tassati finora dal 20 al 35%. Di pari passo, diminuirebbero considerevolmente le tasse interne sui consumi. Difatti in Brasile ci sono due aliquote Ivaù: una federale nazionale, mentre la seconda è locale, e varia per ogni Stato federale.
Essendo sul valore aggiunto, sono calcolate anche sui dazi doganali: se questi si azzerano o quasi, l’Iva si abbassa di conseguenza. Ovviamente, tale vantaggio non riguarderebbe solo il Brasile, bensì tutte le altre nazioni che aderiscono al Mercosul, ovverosia Argentina, Paraguay, Uruguay e Venezuela.
In particolare quest’ultimo, ormai al collasso economico e finanziario, potrebbe ricevere una vera e propria maschera d’ossigeno grazie all’eliminazione delle tariffe, sempre che Trump sia d’accordo. Con Mauricio Macri in Argentina, la Colombia di Iván Duque subentrato a Santos, Lenin Moreno in Ecuador, il rinnovato embargo cubano e Bolsonaro che appoggia il miliardario, gli Usa hanno praticamente ripreso il controllo dell’America Latina.
Parlando di esportazioni da Mercosul a Unione europea, il favore sarebbe reciproco: circa il 90% dei dazi doganali sulle importazioni sudamericane verrebbe azzerato; per cui il movimento delle merci classiche, quali carni bovine, pollame, zucchero, etanolo, legno, cuoio, succo d’arancia, caffè – prive o quasi di dazi – registrerebbe un’accelerazione tale da consentire agli stati del Mercosul un aumento del 30% di produzione per ogni miliardo di esportazioni. La ministra dell’Agricoltura ha però ammonito che tutto ciò avverrà nel corso di un processo graduale, quantificato in 12 anni circa.
Questo nuovo miracolo economico è però appeso a un filo, legato precariamente al dito brasileiro: il rispetto dell’ambiente nell’ambito degli accordi parigini, che vertono soprattutto sulla conservazione della foresta amazzonica, strettamente legata agli investimenti e opere pubbliche compatibili con quest’ultima.
La questione ambientale
E qui casca l’asino: la multinazionale brasiliana Vale, a oggi la maggiore responsabile con le sue controllate degli ultimi disastri ambientali, possiede ben 17 dighe totalmente prive di certificazione che ne attesti la stabilità strutturale. E le conseguenze letali si sono già viste due volte a pochi anni di distanza.
Il 5 novembre del 2015, nello Stato di Minas Gerais, la diga di Mariana (costruita dalla Samarco Mineração, proprietà di Vale in joint-venture con l’australiana Bhp Billiton) cedette, riversando nella vallata sottostante 60 milioni di metri cubi di residui ferrosi, che mescolandosi alle acque del Rio Doce, causarono una inondazione di fango misto a liquami tossici. Il villaggio sottostante di Bento Rodrigues fu spazzato via, uccidendo 13 abitanti.
La micidiale colata annientò la fauna ittica, inquinando l’acqua potabile e costringendo migliaia di persone all’immobilità totale. Solo gli elicotteri poterono raggiungere le comunità isolate, rifornendole per lunghe settimane con viveri e acqua imbottigliata. I liquami raggiunsero l’Oceano Atlantico, contaminando irrimediabilmente la foce e i fondali marini, cancellando le attività di pesca degli Indios. Ancora oggi non si riesce a quantificare il danno ambientale arrecato.
La Camera dei Deputati formò una commissione speciale investigativa, i cui componenti erano quasi tutti membri del Pt, allora al governo, Mdb (Movimento Democrático Brasileiro) suoi ex alleati, e Psdb, i socialdemocratici, principale partito d’opposizione guidato da Aécio Neves, oggi sotto processo per corruzione attiva. Costoro avevano ricevuto proprio da Vale generosi contributi elettorali fino a 2,6 milioni di real brasiliani (R$), e non avevano nessun interesse a calcare la mano. Samarco se la cavò inizialmente con una multa di 250 milioni (66 milioni di dollari amercani) e nel marzo 2016 firmò un accordo per compensare i danni ambientali pari a 2 miliardi in dollari statunitensi, che fu però sospeso nei mesi successivi.
La Corte Suprema brasiliana mise sotto processo Bht e Vale per omicidio colposo e catastrofe, chiedendo ai due colossi 58 miliardi in R$ per ammortizzare anche il ripristino ambientale. Le due multinazionali temporeggiarono, ottenendo due anni per mettere insieme la somma richiesta. Bht si sfilò poi dall’impegno, dichiarandosi non responsabile, ma dovette affrontare in patria una class action da parte dei suoi stessi azionisti che lamentarono le perdite subite causa il crollo della diga.
Dal canto suo Vale, coperta dai politici benevoli, riuscì a procrastinare ancora: approfittò della lentezza della Fundação Renova, istituita per indennizzare le vittime, facendo precipitare le azioni della Samarco, comprando poi a costo zero la parte della consociata Bht che si era defilata. O negócio acima de tudo. Un capolavoro di cinismo, che lasciò impuniti i diretti responsabili, senza indennizzare nel modo dovuto chi aveva perduto tutto nell’inferno di fango.
Brumadinho
Tre anni dopo circa, la tragedia replicò se stessa, stesso attore protagonista (Vale) stesso scenario regionale (Minas Gerais). A soli 120 km da Mariana, il 25 gennaio 2019, crollò un’altra diga, alla periferia di Belo Horizonte. Stavolta però i comprimari pagarono uno scotto molto più alto: i morti accertati furono 179. La musica nel frattempo aveva cambiato spartito: difatti, oltre a 250 milioni di sanzione, il nuovo governo congelò tre miliardi in dollari statunitensi di beni della Vale.
Il programma di risarcimento alle vittime non fu più patrocinato da una pseudo fondazione sfacciatamente di parte, bensì affidato a un agguerrito team di legali che rappresentavano – a differenza della diga di Mariana, dove furono soprattutto gli indios a subirne le conseguenze – proprio le famiglie dei lavoratori della Vale periti nel disastro, uniti in un’azione collettiva contro la multinazionale. Dopo varie trattative, le due parti si sono recentemente accordate per un risarcimento di 10 milioni in R$ a ognuna delle 49 famiglie coinvolte nella tragedia. Quasi mezzo miliardo in R$.
Vale fu privatizzata nel 1997 da Fernando Henrique Cardoso e sotto Lula, uno dei presidenti più attenti alle riforme sociali e alle fasce più deboli do povo brasileiro, le privatizzazioni dei servizi pubblici in Brasile si sono estese ovunque. E’ dunque quantomeno paradossale che proprio nel corso del secondo mandato di Lula, e dei due (il secondo interrotto per impeachment) di Dilma Rousseff, la multinazionale abbia consolidato il suo stato d’impunità legale e deregulation ambientale che hanno permesso tali sfaceli. Lo schema di corruzione creato dai suoi vertici, che ha coinvolto tutti i partiti storici dell’arco parlamentare, consente oggi a Bolsonaro di erigersi a salvatore della patria. Illusione o realtà che sia, il Brasile al momento non ha alternative. Finché farà quadrare i conti almeno. Pecunia non olet.
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