San Pietroburgo, patria di Putin. Sabato 20 luglio. La città delle Notti Bianche brulica di turisti. E’ il sabato più vicino al solstizio d’estate. E’ tardi, ma la città non dorme, perché la notte non è ancora calata. In centro si sta svolgendo il festival dedicato ai palazzi di San Pietroburgo. E’ iniziato il festival internazionale di musica “Notti Bianche”. Ci sono state anche manifestazioni di protesta contro l’esclusione dalle liste elettorali di quasi tutti i candidati delle opposizioni, beffati da una legge che di fatto è stata architettata per eliminare ogni forma di dissenso delle minoranze.
Anche la 41enne Yelena Grigorieva, grandi occhiali che nascondono uno sguardo combattivo e risoluto, ha partecipato ad una di queste manifestazioni. E’ una nota attivista, sempre in prima fila quando si tratta di battersi contro la tortura, le detenzioni politiche, l’annessione della Crimea o la persecuzione delle comunità Lgbt. Più volte è stata aggredita, minacciata di morte. Più volte Lena, come la chiamano gli amici, è andata con il suo avvocato a presentare denunce alla polizia. Ogni volta senza alcun risultato. Quando il primo luglio il suo nome è comparso in una lista di persone cui dare “la caccia”, diffuso da un sito omofobo che si ispira alla saga horror Saw, lei è di nuovo tornata al comando di polizia. Il sito è stato oscurato. Ma solo dopo due settimane. Troppe.
Infatti, quella bella sera del 20 luglio, qualcuno aspetta sotto casa Lena, dalla parte dei giardinetti che si trovano di fronte al condominio dove abita. La circondano, la pigliano a calci e pugni. Poi, l’accoltellano. Otto volte. Alla schiena, come i vili fanno. Al volto, per sfregio. L’autopsia scoprirà più tardi che è stata anche strangolata. Una mattanza. Gli assassini trascinano il corpo di Lena tra i cespugli. Il cadavere verrà ritrovato 12 ore dopo. Un presunto killer sarebbe stato arrestato, rivelerà qualche giorno dopo il sito pietroburghese Fontanka. La polizia è avara di notizie. Per esempio, i compagni di Lena temono che succederà come al solito: l’omicidio non verrà perseguito come crimine d’odio.
Come dimostra uno studio del Cisr (Centro per la ricerca sociale indipendente) dello scorso anno, dal 2011 al 2017 la comunità russa Lgbt è stata oggetto di 267 crimini violenti, soprattutto dopo il 25 gennaio 2013 – l’approvazione della legge alla Duma (la camera bassa del parlamento russo) che condanna la “propaganda dell’omosessualità presso i minori”, con 388 voti favorevoli, uno contrario, un’astensione e 60 assenti. Il 25 maggio sono stati adottati degli emendamenti. Uno in particolare precisa cosa si debba intendere per “propaganda”: “Attività orientata verso la diffusione non controllata di informazioni capaci di avere un’influenza negativa sulla salute, lo sviluppo morale e spirituale e in particolare di formare una rappresentazione deformata del valore sociale legato agli orientamenti sessuali tradizionali e non tradizionali, presso persone che non hanno, a causa della loro età, la possibilità di valutare in modo autonomo e critico una tale informazione”. Risultato: solo 2 dei 267 crimini violenti (compresi molti omicidi) sono stati trattati come crimini d’odio. Gli altri sono stati derubricati come crimini ordinari e quindi soggetti a pene più lievi.
Che la Russia della democratura (quella che il nostro ducetto del rosarietto porta ad esempio, al punto da voler trasformare l’Italietta a sua immagine e somiglianza) sia un posto dove l’illibertà regni, dove l’omofobia sia regola e la comunità Lgbt sia perseguitata, è notorio. Ricordo personalmente – quando ero corrispondente a Mosca – un’intervista di Putin a proposito di Yurij Luzkhov, ineffabile sindaco di Mosca che aveva definito i gay pride “riti satanici”. Era il 2007. Putin non condannò la grottesca affermazione di Luzkhov: “Il mio atteggiamento faccia a faccia dei gay pride e delle minoranze sessuali è molto semplice (…) e si riassume nel fatto che uno dei più gravi problemi del Paese è la demografia”. In sostanza, la posizione del leader del Cremlino è la stessa dei gruppi più oltranzisti di destra (da noi, quella del ministro leghista Lorenzo Fontana, ultraconservatore e fermamente cattolico, paladino della famiglia tradizionale e viscerale nemico della comunità Lgbt, delle coppie di fatto e delle unioni civili).
E’ ciò che si chiama “panico demografico”. Associare cioè l’omosessualità alla sterilità, e per questo considerarla responsabile del calo demografico che affligge la Russia. Posizione peraltro rilanciata di recente da una fedelissima di Putin, la presidente del Senato Valentina Matvienko, ex ambasciatrice a Malta (1991-1995) e in Grecia (1995-1998), ex ministra e soprattutto governatrice di San Pietroburgo, il feudo dei cosiddetti piters, ossia di grandissima parte degli uomini del potere – e degli uomini “della forza”, ossia i siloviki – che comandano al Cremlino. Ebbene, la Matvienko ha dichiarato, durante un recentissimo Forum sulla gioventù sponsorizzato dal governo, che le adozioni gay “porteranno all’estinzione dell’umanità”. Mentre, secondo lei, la soluzione per evitarla sarebbe attenersi alla tradizione: “in cui si trovano gli ingredienti base per la felicità: la famiglia, i bambini, i genitori. Purtroppo noi notiamo come queste istituzioni vengano corrose”.
E’ contro questi pregiudizi e falsità che si batteva Lena Grigorieva. Contro leggi liberticide come quella vigente a Mosca dal 2012 che ha vietato i cortei pride per i prossimi cent’anni. O quella, concepita a Mosca, che regolamenta il comportamento in pubblico dei gay. Tanto che nel 2016 l’Amnesty russa ha lanciato un appello per abolire queste norme raccogliendo 16mila firme, moltissimo se si considerano gli impedimenti e gli ostacoli disposti dalle autorità in simili circostanze. Senza dimenticare che alla periferia dell’impero, come in Cecenia, è stato avviato un progetto di repressione degli omosessuali che ne prevede l’arresto e la tortura per estorcere i nomi di altri omosessuali, secondo un’inchiesta del bisettimanale Novaja Gazeta, dove lavorava Anna Politkovskaja, trucidata nell’androne di casa il 7 ottobre 2006, il giorno del compleanno di Putin.
L’attitudine delle autorità russe nei confronti dell’omosessualità – fu Pietro I a vietare nel 1716 la sodomia – ha spesso sollevato feroci polemiche in Occidente negli ultimi anni. Al punto che Putin ha chiesto alle forze dell’ordine di essere meno repressive durante i Giochi Invernali di Sochi (2014) e durante il campionato mondiale di calcio dello scorso anno. Un espediente che suscitò indignazione tra i militanti della comunità Lgbt russa. Perché finita la festa, tutto sarebbe ritornato come prima, e forse peggio.
Lena Grigorieva lottava contro le derive d’odio che erano alimentate, secondo lei, “dall’arretratezza del paese sul fronte dei diritti e della società civile”. L’odio, la violenza e i raid punitivi hanno generato paura, tale da costringere la quasi totalità della comunità gay (circa cinque milioni di persone) a vivere in segreto, col timore d’essere scoperti. Un paese dove la “caccia al gay” non è prevenuta, perché la polizia non vuole vedere e quindi non interviene. Del resto, secondo uno studio diffuso dal sito Kombini, l’83% dei russi considera l’omosessualità “condannabile”. Un clima che si espande anche nel mondo virtuale. Per esempio, condividere articoli sulla comunità Lgbt su Facebook è reato e si finisce in galera.
E pensare che all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, la Russia di Lenin fu il primo stato nel mondo a depenalizzare le relazioni fra uomini, anche se in modo ipocrita, trattando la questione sul fronte medico piuttosto che su quello politico. Le autorità sovietiche avevano aperto una strada che sarebbe stata imboccata in Occidente parecchi decenni dopo, ma poi le cose cambiarono sotto Stalin: nel 1934 si ritornò a recriminalizzare l’omosessualità maschile, in un momento in cui la “questione sessuale” era fortemente rimessa in questione (l’aborto e le malattie veneree sono marcate dalla criminalizzazione). Gli omosessuali finirono nei gulag, anche dopo la destalinizzazione (si beccavano cinque anni di deportazione), mentre le lesbiche venivano mandate in ospedali psichiatrici. Insomma, la diversità sessuale era equiparata al dissenso politico. La cosiddetta presunta modernizzazione sessuale sovietica ebbe metodi polizieschi niente affatto liberali. Solo dopo la caduta dell’Urss, il 27 maggio del 1993, l’omosessualità maschile fu depenalizzata. Ma per ragioni assai poco nobili: era una delle condizioni perché la Russia di Eltsin fosse ammessa al Consiglio d’Europa.
Leonardo Coen
Giornalista e scrittore
Mondo - 27 Luglio 2019
Russia, uccisa attivista Lgbt. La propaganda contro i gay non conosce limiti
San Pietroburgo, patria di Putin. Sabato 20 luglio. La città delle Notti Bianche brulica di turisti. E’ il sabato più vicino al solstizio d’estate. E’ tardi, ma la città non dorme, perché la notte non è ancora calata. In centro si sta svolgendo il festival dedicato ai palazzi di San Pietroburgo. E’ iniziato il festival internazionale di musica “Notti Bianche”. Ci sono state anche manifestazioni di protesta contro l’esclusione dalle liste elettorali di quasi tutti i candidati delle opposizioni, beffati da una legge che di fatto è stata architettata per eliminare ogni forma di dissenso delle minoranze.
Anche la 41enne Yelena Grigorieva, grandi occhiali che nascondono uno sguardo combattivo e risoluto, ha partecipato ad una di queste manifestazioni. E’ una nota attivista, sempre in prima fila quando si tratta di battersi contro la tortura, le detenzioni politiche, l’annessione della Crimea o la persecuzione delle comunità Lgbt. Più volte è stata aggredita, minacciata di morte. Più volte Lena, come la chiamano gli amici, è andata con il suo avvocato a presentare denunce alla polizia. Ogni volta senza alcun risultato. Quando il primo luglio il suo nome è comparso in una lista di persone cui dare “la caccia”, diffuso da un sito omofobo che si ispira alla saga horror Saw, lei è di nuovo tornata al comando di polizia. Il sito è stato oscurato. Ma solo dopo due settimane. Troppe.
Infatti, quella bella sera del 20 luglio, qualcuno aspetta sotto casa Lena, dalla parte dei giardinetti che si trovano di fronte al condominio dove abita. La circondano, la pigliano a calci e pugni. Poi, l’accoltellano. Otto volte. Alla schiena, come i vili fanno. Al volto, per sfregio. L’autopsia scoprirà più tardi che è stata anche strangolata. Una mattanza. Gli assassini trascinano il corpo di Lena tra i cespugli. Il cadavere verrà ritrovato 12 ore dopo. Un presunto killer sarebbe stato arrestato, rivelerà qualche giorno dopo il sito pietroburghese Fontanka. La polizia è avara di notizie. Per esempio, i compagni di Lena temono che succederà come al solito: l’omicidio non verrà perseguito come crimine d’odio.
Come dimostra uno studio del Cisr (Centro per la ricerca sociale indipendente) dello scorso anno, dal 2011 al 2017 la comunità russa Lgbt è stata oggetto di 267 crimini violenti, soprattutto dopo il 25 gennaio 2013 – l’approvazione della legge alla Duma (la camera bassa del parlamento russo) che condanna la “propaganda dell’omosessualità presso i minori”, con 388 voti favorevoli, uno contrario, un’astensione e 60 assenti. Il 25 maggio sono stati adottati degli emendamenti. Uno in particolare precisa cosa si debba intendere per “propaganda”: “Attività orientata verso la diffusione non controllata di informazioni capaci di avere un’influenza negativa sulla salute, lo sviluppo morale e spirituale e in particolare di formare una rappresentazione deformata del valore sociale legato agli orientamenti sessuali tradizionali e non tradizionali, presso persone che non hanno, a causa della loro età, la possibilità di valutare in modo autonomo e critico una tale informazione”. Risultato: solo 2 dei 267 crimini violenti (compresi molti omicidi) sono stati trattati come crimini d’odio. Gli altri sono stati derubricati come crimini ordinari e quindi soggetti a pene più lievi.
Che la Russia della democratura (quella che il nostro ducetto del rosarietto porta ad esempio, al punto da voler trasformare l’Italietta a sua immagine e somiglianza) sia un posto dove l’illibertà regni, dove l’omofobia sia regola e la comunità Lgbt sia perseguitata, è notorio. Ricordo personalmente – quando ero corrispondente a Mosca – un’intervista di Putin a proposito di Yurij Luzkhov, ineffabile sindaco di Mosca che aveva definito i gay pride “riti satanici”. Era il 2007. Putin non condannò la grottesca affermazione di Luzkhov: “Il mio atteggiamento faccia a faccia dei gay pride e delle minoranze sessuali è molto semplice (…) e si riassume nel fatto che uno dei più gravi problemi del Paese è la demografia”. In sostanza, la posizione del leader del Cremlino è la stessa dei gruppi più oltranzisti di destra (da noi, quella del ministro leghista Lorenzo Fontana, ultraconservatore e fermamente cattolico, paladino della famiglia tradizionale e viscerale nemico della comunità Lgbt, delle coppie di fatto e delle unioni civili).
E’ ciò che si chiama “panico demografico”. Associare cioè l’omosessualità alla sterilità, e per questo considerarla responsabile del calo demografico che affligge la Russia. Posizione peraltro rilanciata di recente da una fedelissima di Putin, la presidente del Senato Valentina Matvienko, ex ambasciatrice a Malta (1991-1995) e in Grecia (1995-1998), ex ministra e soprattutto governatrice di San Pietroburgo, il feudo dei cosiddetti piters, ossia di grandissima parte degli uomini del potere – e degli uomini “della forza”, ossia i siloviki – che comandano al Cremlino. Ebbene, la Matvienko ha dichiarato, durante un recentissimo Forum sulla gioventù sponsorizzato dal governo, che le adozioni gay “porteranno all’estinzione dell’umanità”. Mentre, secondo lei, la soluzione per evitarla sarebbe attenersi alla tradizione: “in cui si trovano gli ingredienti base per la felicità: la famiglia, i bambini, i genitori. Purtroppo noi notiamo come queste istituzioni vengano corrose”.
E’ contro questi pregiudizi e falsità che si batteva Lena Grigorieva. Contro leggi liberticide come quella vigente a Mosca dal 2012 che ha vietato i cortei pride per i prossimi cent’anni. O quella, concepita a Mosca, che regolamenta il comportamento in pubblico dei gay. Tanto che nel 2016 l’Amnesty russa ha lanciato un appello per abolire queste norme raccogliendo 16mila firme, moltissimo se si considerano gli impedimenti e gli ostacoli disposti dalle autorità in simili circostanze. Senza dimenticare che alla periferia dell’impero, come in Cecenia, è stato avviato un progetto di repressione degli omosessuali che ne prevede l’arresto e la tortura per estorcere i nomi di altri omosessuali, secondo un’inchiesta del bisettimanale Novaja Gazeta, dove lavorava Anna Politkovskaja, trucidata nell’androne di casa il 7 ottobre 2006, il giorno del compleanno di Putin.
L’attitudine delle autorità russe nei confronti dell’omosessualità – fu Pietro I a vietare nel 1716 la sodomia – ha spesso sollevato feroci polemiche in Occidente negli ultimi anni. Al punto che Putin ha chiesto alle forze dell’ordine di essere meno repressive durante i Giochi Invernali di Sochi (2014) e durante il campionato mondiale di calcio dello scorso anno. Un espediente che suscitò indignazione tra i militanti della comunità Lgbt russa. Perché finita la festa, tutto sarebbe ritornato come prima, e forse peggio.
Lena Grigorieva lottava contro le derive d’odio che erano alimentate, secondo lei, “dall’arretratezza del paese sul fronte dei diritti e della società civile”. L’odio, la violenza e i raid punitivi hanno generato paura, tale da costringere la quasi totalità della comunità gay (circa cinque milioni di persone) a vivere in segreto, col timore d’essere scoperti. Un paese dove la “caccia al gay” non è prevenuta, perché la polizia non vuole vedere e quindi non interviene. Del resto, secondo uno studio diffuso dal sito Kombini, l’83% dei russi considera l’omosessualità “condannabile”. Un clima che si espande anche nel mondo virtuale. Per esempio, condividere articoli sulla comunità Lgbt su Facebook è reato e si finisce in galera.
E pensare che all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, la Russia di Lenin fu il primo stato nel mondo a depenalizzare le relazioni fra uomini, anche se in modo ipocrita, trattando la questione sul fronte medico piuttosto che su quello politico. Le autorità sovietiche avevano aperto una strada che sarebbe stata imboccata in Occidente parecchi decenni dopo, ma poi le cose cambiarono sotto Stalin: nel 1934 si ritornò a recriminalizzare l’omosessualità maschile, in un momento in cui la “questione sessuale” era fortemente rimessa in questione (l’aborto e le malattie veneree sono marcate dalla criminalizzazione). Gli omosessuali finirono nei gulag, anche dopo la destalinizzazione (si beccavano cinque anni di deportazione), mentre le lesbiche venivano mandate in ospedali psichiatrici. Insomma, la diversità sessuale era equiparata al dissenso politico. La cosiddetta presunta modernizzazione sessuale sovietica ebbe metodi polizieschi niente affatto liberali. Solo dopo la caduta dell’Urss, il 27 maggio del 1993, l’omosessualità maschile fu depenalizzata. Ma per ragioni assai poco nobili: era una delle condizioni perché la Russia di Eltsin fosse ammessa al Consiglio d’Europa.
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Politica
La Camera respinge la sfiducia a Santanchè: “Sulle dimissioni rifletterò”. Conte: “Siete responsabili di un disastro morale”. Schlein: “Meloni ancora in fuga”
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A Milano indagine per evasione fiscale su Twitter-X. Mancati pagamenti Iva per 12,5 milioni
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Francesco, condizioni critiche ma stazionarie: “Nuova tac di controllo”. Ha visto il cardinale Parolin. Buenos Aires in ansia per il ‘suo’ Papa
Tel Aviv, 25 feb. (Adnkronos) - Ofri Bibas, sorella dell'ostaggio liberato Yarden Bibas, ha criticato duramente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nonché i notiziari, gli utenti dei social media e i diplomatici pubblici, per aver descritto in dettaglio, contro la volontà della famiglia, gli omicidi avvenuti durante la prigionia della moglie di Yarden, Shiri, e dei suoi figli piccoli Ariel e Kfir. Pubblicare tali informazioni nonostante le ripetute richieste della famiglia è stato "un abuso fine a se stesso nei confronti di una famiglia che ha attraversato 16 mesi di inferno e che deve ancora affrontare il peggio", ha sritto Ofri Bibas su Facebook.
Netanyahu ha descritto l'omicidio dei ragazzi in modo molto dettagliato in un discorso tenuto davanti all'America Israel Public Action Committee e, mentre teneva in mano una foto delle vittime, durante una cerimonia militare tenutasi ieri, in seguito alla quale, la famiglia Bibas ha inviato una lettera di diffida a Netanyahu e ad altri uffici governativi, chiedendo loro di smettere di pubblicare dettagli non approvati sugli omicidi, riporta il sito di notizie Ynet.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - "Questa decisione lacera l'indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti". Lo ha detto il presidente della White House Correspondents' Association Eugene Daniels, criticando l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per aver affermato che d'ora in poi sarà lei stessa a decidere quali giornalisti potranno seguire gli eventi della Casa Bianca. "In un paese libero, i leader non devono scegliere le testate" da accreditare, ha aggiunto.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato durante il briefing di oggi che l'amministrazione determinerà quali organi di stampa faranno parte del pool stampa della Casa Bianca. Attualmente la White House Correspondents Association aiuta a coordinare la copertura del pool.
La Leavitt ha affermato che alle "testate tradizionali" sarà comunque consentito di unirsi al pool, ma ha osservato che l'amministrazione consentirà l'adesione anche ad altri siti. "Sono orgogliosa di annunciare che restituiremo il potere alle persone che leggono i vostri giornali, che guardano i vostri programmi televisivi e che ascoltano le vostre stazioni radio", ha aggiunto.
(Adnkronos) - L'indagine su Twitter International Uk vede due indagati - si tratta di due ex amministratori (un irlandese e un indiano) - che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del social poi rilevato da Elon Musk a fine 2022. L'indagine nasce da un controllo fiscale della Gdf, concluso ad aprile 2024, proprio sulla piattaforma americana, che oggi si chiama 'X', sulla scia delle stesse verifiche fatte su Meta. Il fascicolo è affidato dal pm Giovanni Polizzi, già protagonista di altre indagini sui colossi del web.
Il punto centrale del fascicolo affidato a Polizzi, lo stesso che si è occupato dell'inchiesta su Meta, è l'idea che debbano essere tassate come transazioni commerciali le iscrizioni gratuite alle piattaforme online in cambio della cessione dei propri dati personali, che hanno un valore economico, visto che consentono la profilazione degli utenti.
Solo lo scorso dicembre la procura di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali della società di diritto irlandese Meta, titolare dei social Facebook e Instagram. L'inchiesta - ancora aperta - ipotizza per il colosso l'omessa dichiarazione e mancato pagamento - tra il 2015 e il 2021 - dell'Iva per un totale di oltre 877 milioni di euro.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La Casa Bianca attribuisce il grosso livido sulla mano destra di Donald Trump, che era visibile durante l'incontro di ieri con il presidente francese Emmanuel Macron, alle strette di mano del presidente americano.
"Il presidente Trump è un uomo del popolo", ha affermato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, aggiungendo: "Il suo impegno è incrollabile e lo dimostra ogni singolo giorno. Il presidente Trump ha lividi sulla mano perché lavora costantemente e stringe mani tutto il giorno, tutti i giorni".
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Sono due i momenti della replica di Daniela Santanchè sottolineati dalle opposizioni, che oggi hanno votato compatte la mozione di sfiducia alla ministra del Turismo. Il primo quello sull''intemerata' del tacco 12 e il glamour, della sinistra che odia la ricchezza. Un tentativo di 'buttarla in caciara' e uscire dal merito, grave, della vicenda, dicono le opposizioni. L'altro passaggio è meno di colore e più inquietante, sostengono, ed è quando la ministra ha detto che alla prossima udienza valuterà le dimissioni "ma lo farò da sola - ha scandito- con me stessa, senza nessuna costrizione e forzatura". Una sottolineatura che, secondo le opposizioni, è un chiaro messaggio a Giorgia Meloni. E fa crescere l'interrogativo: perché la premier Meloni si fa trattare in questo modo? E' la domanda dei parlamentari di minoranza in Transatlantico.
Giuseppe Conte intervenendo in aula nelle dichiarazioni di voto ha dato una sua versione: "Ci sono solo due plausibili spiegazioni. La prima è che lei, Santanchè, ricatta Meloni. Può darsi che all'opposizione abbiate condiviso segreti che oggi mettono in imbarazzo la presidente del Consiglio e allora comprenderemmo perché ogni giorno Meloni dice che non è ricattabile... La seconda è che Fdi dopo aver avuto come motto 'legge e ordine', oggi che siete al potere si sentite casta intoccabile. Il caso Delmastro è l'esempio di questa vostra convinzione di essere al di sopra della legge".
Anche Elly Schlein si rivolge alla premier Meloni: "Cosa le impedisce di far dimettere Santanchè? Come è possibile accettare in silenzio, dopo che Santanchè ha detto che del pressing di Fdi se ne frega, che lei e solo lei decide se dimettersi come se non esistesse una presidente del Consiglio?". E insiste: "Meloni è stata campionessa mondiale di richieste di dimissioni e oggi ha disertato quest'aula, come fa non vergognarsi della sua incoerenza, come fa a non rendersi conto di quanto sia vigliacco il suo atteggiamento di continua fuga da quest'aula e dalla realtà? Dove si è nascosta la premier? Forse sta registrando un altro video, un contributo da inviare a una convention fra motoseghe e saluti nazisti?".
Conte ribatte anche al passaggio 'tacco 12' della ministra: "Lei ha detto che odiamo la ricchezza, ma non dica baggianate, siete voi che avete fatto la guerra ai poveri, che odiate i poveri. Noi odiamo o meglio ancora contrastiamo, la disonestà". Una questione, quella dei tacchi e delle borsette, che fa sbottare Schlein: "Lei viene qui a difendere le borsette, chi difende gli italiani dalla bollette? Noi non siamo qui per fare un processo ma per porre una gigantesca questione di opportunità politica: davanti ad accuse così gravi, per non ledere le istituzioni, avrebbe dovuto dimettersi".
La segretaria del Pd si rivolge quindi alla maggioranza: "Speriamo in un sussulto della maggioranza e dei singoli parlamentari. Se oggi salvate Santanchè dimostrate che a voi interessa difendere i vostri più che difendere l'onore delle istituzioni. Questa non è difesa nazionale, è difesa tribale". Per Elisabetta Piccolotti che interviene a nome di Avs, "il problema non è la ricchezza della ministra, il problema è che quando si è ricchi e non si pagano" gli stipendi ai lavoratori e si umiliano "le persone più povere".
Anche Iv, Più Europa e Azione che non avevano sottoscritto la mozione di sfiducia, hanno comunque dichiarato il voto a favore in aula. "Noi sappiamo che la mozione di sfiducia non sarà approvata, ma chiunque si è accorto che la ministra Santanchè non è sfiduciata da coloro che hanno presentato questa mozione ma dalla sua stessa maggioranza, dalla premier Meloni", dice Davide Faraone di Iv. Per Azione Antonio D'Alessio spiega: "Le mozioni di sfiducia non ci piacciono" e "la ministra non è colpevole fino a prova contraria" ma "è il quadro complessivo che finisce con il restituirci una politica rispetto alla quale scivolano via situazioni che non consentono una azione della ministra libera di condizionamenti". Linea simile a Riccardo Magi di Più Europa: "Per noi Santanché dovrebbe dimettersi" non per le questioni giudiziarie, ma "perché ha inanellato una serie di fallimenti da ministro". Intanto in serata l'aula ha respinto la sfiducia con 206 voti.
Londra, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato che ospiterà colloqui sull'Ucraina con gli alleati nel fine settimana, dopo essere tornato dall'incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca. "Ospiterò diversi paesi questo fine settimana per continuare a discutere di come procedere insieme come alleati alla luce della situazione che ci troviamo ad affrontare", ha detto ai giornalisti.