Cultura

Muro di Berlino, 30 anni dopo la caduta: su una Trabant 601 nei luoghi iconici dell’ultima estate dell’Europa divisa in due

Si chiama TrabanTiamo il progetto di Giulio Carello e Francesco Pieretti: hanno cercato finanziamenti, comprato la macchina e sono partiti. 6 paesi in 27 giorni, per arrivare a Berlino attraverso Praga, Budapest e altre tappe iconiche, ma soprattutto sulle strade che 30 anni fa gli abitanti della Germania dell'est imboccavano nel tentativo di aggirare il Muro

di Letizia Bonvini

Trenta anni fa cadeva il Muro di Berlino. Per celebrare l’anniversario, due amici uniti e guidati dall’amore per le auto d’epoca hanno deciso di partire a bordo di una Trabant 601 per un viaggio su quattro ruote, che per 27 giorni li ha portati ad attraversare 6 Paesi, ripercorrendo le strade su cui nell’estate del 1989 si riversavano migliaia di famiglie nel tentativo di aggirare il muro per fuggire dalla DDR verso l’Occidente. Questa idea per rivivere l’ultima estate dell’Europa dell’Est li ha portati fino a Berlino, dove, insieme agli amici Stefano Steinleitner ed Enrico Viora, hanno intervistato Salvo Mazzolini, il corrispondente Rai da Bonn che nel novembre 1989 aveva informato l’Italia del fatto che il mondo stava cambiando per sempre.

Sono amici dal liceo, Giulio Carello e Francesco Pieretti e hanno entrambi 24 anni: il primo laureato in interpretariato e traduzione, è perito di auto storiche, il secondo studia International Management. Lo scorso anno, durante un viaggio a Budapest, hanno iniziato a covare l’idea di questa avventura e, nel giro di due mesi, hanno acquistato la loro Trabant, soprannominata Olga. L’hanno trovata a Fiera di Primiero (TN) e fatta restaurare e rimettere in moto a Torino. Hanno aperto una pagina Instagram, per tenere aggiornati i follower e condividere con loro “l’odore del gas di scarico, l’assordante rumore del motore e il caldo soffocante di un abitacolo costruito interamente in duroplast”. Ma soprattutto hanno creato un programma e cercato sponsor per realizzarlo, mettendo in piedi un’idea che si è trasformata in uno stage alternativo e self-made. In diversi posti sono stati intervistati dalla stampa locale e la stessa Bild ha parlato di loro.

Hanno chiamato il progetto “TrabanTiamo: sulle ali della libertà“, proprio in onore della Trabant 601, che più che un’automobile è un pezzo di storia a motore. La partenza il 23 giugno, da Torino, città in cui si trova il Museo nazionale dell’automobile. Poi Verona, Basovizza, Innsbruck, Salisburgo, Mauthausen, Vienna, Bratislava, Budapest, Nitra, Brno, Praga, Berlino, Dresda, Lipsia, Zwickau, Norimbergae Monaco di Baviera. Tutte le tappe del percorso sono luoghi iconici di alcuni momenti bui della storia recente: campi di concentramento, città simbolo dei bombardamenti, ma anche due capitali che sono state teatro di sconvolgimenti alla fine degli anni ’80. A queste si aggiungono visite dedicate a ripercorrere la storia della Trabant.

PRIMA SOSTA IMPORTANTE: BUDAPEST – Si è trattato di una tappa un po’ speciale per Giulio Carello, il cui legame con l’Ungheria si deve a una storia di 63 anni fa. Per l’esattezza era il 27 ottobre del 1956 e Radio Budapest lanciava un appello ai paesi occidentali affinché intervenissero in soccorso delle vittime della lotta dei patrioti ungheresi contro il governo comunista sostenuto da Mosca. A mobilitarsi dall’Italia fu il chirurgo Achille Mario Dogliotti, che organizzò una spedizione alla guida della quale c’era un suo amico: l’ingegner Fedele Carello. Nonno di Giulio. Dopo diversi tentativi di passare il confine i due amici vennero arrestati dai sovietici, ma per fortuna furono solo espulsi. “La missione non era stata portata a compimento ma la certezza di avere rischiato la vita per portare un piccolo, ma importante contributo alla libertà del popolo magiaro, legò per sempre ad esso il cuore di mio nonno” ha ricorda Giulio Carello.

LE TAPPE DEDICATE ALLA TRABANT – Poi è toccato alla capitale ceca, dove, a differenza di quanto avveniva in Ungheria, il governo è rimasto fedele a Mosca fino all’ultimo: l’estate 1989 di Budapest e quella di Praga furono diverse. Protagonista della tappa è stata la visita al piccolo grande museo Trabant di Praga dove sono conservati piccoli cimeli di ogni genere legati all’auto: olio, manifesti originali, ricambi ancora inscatolati, attrezzi, cerchioni, insegne e migliaia di modellini. A Zwickau è stata la volta dell’August Horch Museum, uno dei più importanti musei dell’auto di tuttala Germania, allestito proprio all’interno di quello che fu il più grande stabilimento della Trabant e nel quale è stata fabbricata la stessa Olga. Oltre 6000 metri quadri di esposizione di auto inserite in ambientazioni ispirate alle varie epoche: “Dal benzinaio o il meccanico anni ‘20, agli eleganti pavé con tanto di lampioni e negozi anni ‘40. Un vero e proprio paradiso dal quale è difficile staccarsi”. Inutile dire che il comparto privilegiato è stato quello dedicato alle compagne di Olga. A Berlino poi il Trabi Museum e Trabi World, che raccolgono 120 esemplari di Trabant di diversi modelli e colori, a pochi passi dal leggendario Checkpoint Charlie, la principale porta tra l’est e l’ovest all’interno della capitale tedesca.

LA STRADA – La parte più importante dell’avventura però non sono state le tappe, ma il viaggio vero e proprio. Si sono mossi sempre in macchina, ripercorrendo proprio quelle strade che 30 anni fa gli abitanti della Germania Est imboccavano per raggiungere Ungheria e Cecoslovacchia nel tentativo di trovare scappatoie verso l’occidente.

L’ESTATE DELL’ESODO – Era il 1989 e il mondo per come era stato concepito per quasi 30 anni stava per cambiare per sempre. Berlino, la Germania e l’Europa intera stavano per non essere più divise tra est e ovest da quella che Churchill definì già nel 1946 “cortina di ferro”.  Il crollo del Muro arrivò solo nel mese di novembre ma, già nei mesi estivi si vedevano i primi germogli di quello che le rivoluzioni dei paesi “dissidenti” del patto di Varsavia avevano seminato. Dalla tumultuosa esperienza polacca il virus rivoluzionario di era diffuso fino all’Ungheria e poi alla Germania Est. A luglio, a Mosca, il presidente Nyers chiese che alla Russia di rendere pubblico il ritiro delle truppe dal territorio ungherese, mentre si completava la rimozione del filo spinato al confine con l’Austria, iniziata addirittura in primavera su richiesta del ministro degli Interni Horváth. Appena si diffuse la notizia, proprio a bordo di migliaia di Trabant, intere famiglie della DDR iniziarono a mettersi in marcia verso le vicine Cecoslovacchia e Ungheria, per raggiungere da lì i confini austriaci, in quello che il segretario di stato americano Baker definì “un grande imbarazzo per il regime”. Alla fine di luglio c’erano già più di 20mila tedeschi stanziati in territorio ungherese e al governo fu chiaro che a breve avrebbero dovuto lasciarli andare. Il 24 agosto il cancelliere Kohl, il primo ministro ungherese Németh e il ministro degli esteri Horn concessero l’apertura dei confini: si poteva aggirare il Muro di Berlino.

“C’era proprio una fuga della popolazione, quasi la Germania Orientale si stava svuotando. Allora, il regime pensò di dare un segnale che qualcosa sarebbe cambiata: sarebbe stato più facile andare anche nei Paesi occidentali, sarebbe stato più facile ottenere il visto” ha raccontato Mazzolini. “Questa misura fu annunciata dal portavoce in una conferenza stampa, ma quasi distrattamente a seguito ad una domanda che gli fu fatta per caso – ha continuato – però era un annuncio clamoroso. Alcuni chiesero che se anche nei posti di blocco lungo il Muro che divideva Berlino ci sarebbe stata la possibilità di ottenere il visto per andare a Berlino ovest e lui disse che sì perché anche Berlino ovest era un confine della DDR, quindi questa misura riguardava anche il Muro di Berlino. Due minuti dopo, tutte le radio e le tv della Germania Occidentale interruppero i programmi annunciando che il Muro era crollato.”

LA TRABANT 601 – Poco più di 30 anni prima, invece, nel 1957, veniva costruito il primo esemplare di Trabant, l’unica auto in produzione in tutta la DDR e che aveva permesso al mondo al di là del Muro di motorizzarsi, anche se in modo più lento e meno efficiente rispetto all’Occidente. Era l’auto di tutti e la scelta era, al massimo, tra le diverse varianti, delle quali dal ’57 al ’91 furono prodotti complessivamente 3.051.385 esemplari. La motorizzazione dell’Europa dell’est era avvenuta già nel secondo dopo guerra, a rilento, grazie all’antenata della 601, la P50, che verso la fine degli anni ’50 la IFA aveva capito di dover rimodernare. A quel punto lo staff iniziava a lavorare contemporaneamente su due modelli: quello proposto dalla stessa IFA e quello invece che aveva in progettazione Werner Lang, già produttore della P50, nello stabilimento di Zwikau. A causa di alcuni ritardi, fu solo nell’estate del ’64 che iniziarono a essere commercializzate le prime Trabant 601, dopo il breve passaggio a un modello intermedio, la P60. La 601 è rimasta in produzione fino a quando di fatto il commercio di auto della DDR era stato scalzato dall’immissione sul mercato delle auto delle aziende occidentali, restando comunque la più longeva della famiglia Trabant.

Il racconto di Mazzolini continua: “Quando cadde il Muro, mi colpì molto il fatto che le Trabant invasero le autostrade tedesche della parte occidentale. Secondo le norme, le Trabant con le loro emissioni abbastanza alte, non avrebbero dovuto circolare e invece, cosa rarissima, le autorità della Germania occidentale chiusero un occhio e permisero ai proprietari delle Trabant di circolare liberamente. Addirittura in alcuni casi le pompe di benzina distribuivano gratuitamente il carburante o concedevano volontariamente degli sconti”. A tenere viva l’immagine dell’auto nella memoria non sono solo le immagini che ne ritraggono infinite code di esemplari, una dietro l’altra verso i checkpoint, ma anche il recupero di quell’immaginario che passa per la letteratura e la cinematografia. Basta pensare a “Quella Trabant venuta dall’est”, che racconta l’evento due anni dopo la caduta del Muro. “Molti tedeschi occidentali erano disposti a pagare cifre importanti pur di avere una Trabant come oggetto di collezione, – a ggiunto l’allora corrispondente Rai da Bonn – come una sorta di opera d’arte che ha un significato, che ha una storia. Il paragone con un’opera d’arte non è eccessivo per descrivere il rapporto che i tedeschi occidentali hanno avuto e hanno ancora con la Trabant.

 

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