La foto del giovane americano bendato ha fatto saltare molti sulla sedia. Diciamolo chiaramente: oltre ad una possibile violazione dei diritti fondamentali di un uomo privato della libertà personale, è un’immagine di sottomissione orrenda che getta un’ombra oscura su ciò che accade quando le porte di questure e caserme si chiudono alle spalle di operatori di sicurezza che accompagnano persone in custodia ammanettate.
In tanti sono rimasti toccati, altri invece – basta leggere i commenti sul web – suggestionati e solleticati dalla cultura cinematografica della vendetta hanno esultato per quella umiliazione mascherata da esercizio della giustizia, trovando – come è consuetudine oggi – megafono nella Lega, in Fratelli d’Italia e parte del Movimento 5Stelle, partiti che in maniera più o meno esplicita prestano il fianco a certi pruriti forcaioli e alla divisione calcistica della società in buoni e cattivi.
In questa parodistica visione del mondo trova posto anche il Garante per le vittime di reato, una figura istituita poco tempo fa. Di cosa si tratta? È una sorta di difensore civico, che avrebbe il compito di tutelare le vittime prestando loro assistenza; una figura istituita dalla Regione Lombardia – per la prima volta in Italia, un anno fa – e votata all’unanimità dal Consiglio regionale.
Leggendo le aree di competenza, a prima vista, può sembrare un ente simbolico, uno dei tanti privi di utilità pratica: “Tra i suoi compiti, fornire assistenza gratuita alle vittime di reato collaborando con istituzioni e organismi di garanzia e professionali, favorire attraverso le strutture regionali un efficace accesso a trattamenti assistenziali e psicologici, promuovere attività di informazione e di formazione con a tema la tutela delle vittime”. In realtà, per capire bene il tentativo di egemonizzazione culturale che ne è alla base, è sufficiente leggere la dichiarazione dell’assessore regionale alla Sicurezza Riccardo De Corato, in passato vice-sindaco di Milano, all’indomani del sì all’istituzione del Garante: “Troppo spesso la politica ha pensato a tutelare i diritti di chi, dopo aver commesso un reato, sconta la propria condanna in prigione. Poco invece è stato fatto per stare vicino alle vittime ed alle loro famiglie”. Per essere più chiaro, De Corato cita anche il caso di un oste che ha ucciso un rapinatore che si era introdotto nella sua attività commerciale: “A lui come a tutti i lombardi che, vittime di un delitto contro il patrimonio o contro la persona, siano accusati di aver commesso un delitto per eccesso colposo in legittima difesa – ha continuato l’assessore – rimborseremo fino a 30mila euro per le spese legali”.
Ecco, ora è tutto più chiaro: secondo me l’istituzione del Garante in Lombardia – incredibilmente votata anche dal Pd – ha lo scopo puramente propagandistico di creare un equivalente giustizialista e “di destra” del Garante per i diritti dei detenuti, assecondando la vulgata che l’Italia è il Paese che premia i criminali e si accanisce con le vittime.
Per capire le differenze tra le due figure non c’è bisogno di una laurea: il Garante dei diritti dei detenuti, a me pare chiaro, esiste perché la civiltà venga garantita anche dietro le sbarre. Invece, questa nuova figura va a prestare assistenza psicologica e materiale, con l’effetto pericolosissimo di conferire soggettività pubblica ai familiari delle vittime: in questa visione cinica e manichea, le sentenze saranno presto emesse “in nome dei familiari delle vittime” e non “in nome del popolo italiano”. Per farsi un’idea della neutralità di questo organismo, basta leggere un commento della neo Garante Elisabetta Aldrovandi sulla pagina del ministro dell’Interno.
Per dirla tutta: il Garante per i diritti delle vittime già c’è ed è lo Stato, con le sue leggi ed i suoi apparati. Se lo Stato non funziona deve funzionare ma dal mio punto di vista non si possono creare degli enti di parte che hanno solo una finalità: contribuire alla sovversione dei principi sui quali si basa la Giustizia penale in uno Stato liberale. Chi trascorre del tempo in carcere paga un debito con la collettività, non con i familiari delle vittime e lo scopo della pena rimane reintegrare i detenuti come stabilisce la Costituzione, non trasformarli in prigionieri di discariche umane, ostaggi della frustrazione e degli istinti animaleschi di vendetta della gente comune.
La proposta che la Garante Aldrovandi porta avanti, “lavoro obbligatorio” è una formula graziosa per dire “lavori forzati”: come si può costruire un percorso riabilitativo in un clima da “giustiziere della notte” dove una certa parte politica lavora a tempo pieno per attuare una mutazione antropologica di un sistema costruito sui diritti e sulla tolleranza? Il giustizierismo accattone è la morte dello Stato di diritto e la fine della convivenza collettiva basata su un equilibrio di diritti e doveri.
La normalizzazione della gogna e dei processi sommari in diretta sulla pagina FB di Matteo Salvini, la campagna per armare i cittadini, per organizzarli in ronde a tutela della proprietà e l’accanimento (non solo) dialettico contro chi non rientra in questo (folle) schema sono funzionali ad una visione pre-illuministica della società. Dove il “cattivismo” è la nuova ragionevolezza.