La festa delle iene, degli avvoltoi e degli sciacalli attorno all’assassinio del povero carabiniere, sembra sia finita definitivamente. Christian Gabriel Natale Hjorth ed Elder Finnegan Lee, i due studenti americani cocainomani, hanno confessato. E’ stata trovata l’arma del delitto e il Gip ha ricostruito la dinamica dell’aggressione costata la vita al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, un servitore dello Stato, un lavoratore, non dimentichiamolo mai, caduto mentre faceva il suo dovere e si guadagnava lo stipendio.

Leggendo le carte del gip salta agli occhi che l’omicidio arriva dopo che un italiano, Sergio Brugiatelli, ha indirizzato i due studenti verso un pusher che invece di vendere loro cocaina, gli ha rifilato aspirina. E’ a lui che i due rubano il borsello ed è lui che chiede l’intervento della pattuglia dei carabinieri per sventare l’estorsione col cosiddetto “cavallo di ritorno”. Ai due assassini si arriva – a quanto pare – anche grazie alla testimonianza di due nordafricani che erano in zona e hanno aiutato le indagini dei carabinieri.

Dopo il “via” lanciato in mattinata dal post di Matteo Salvini e da quello di Giorgia Meloni, le orde degli haters fascisti si sono scatenate chiedendo lavori forzati, tortura, pena di morte, rimpatri di massa per tutti gli africani presenti in Italia. La solita onda di tweet e post scatenata dalla Bestia che ha invaso i social. L’obiettivo come sempre era quello di rinfocolare l’odio, indirizzarlo verso i migranti e trarne un vantaggio in termini di consenso.

Quando nel tardo pomeriggio è apparso chiaro che gli assassini non erano africani, non erano clandestini, bensì due giovanotti statunitensi a quel punto lo scenario social è cambiato: gli haters e i loro dante causa hanno tentato timidamente qualche manovra diversiva, poi – ministro in testa – sono spariti. Dissolti nel nulla, aspettano che la buriana passi. Confidano in un nuovo fatto di cronaca, sperano di poter abbeverarsi al sangue di una prossima vittima, augurandosi ovviamente che il responsabile sia un nero.

La tragica morte del vicebrigadiere e ciò che ne è seguito in termini di sciacallaggio, devono imporci una riflessione su quello che sta accadendo nel nostro Paese. Devono imporla soprattutto a chi lavora nel mondo della comunicazione. Giornalisti in testa.

L’Italia è un Paese tra i più sicuri d’Europa, ma il tema sicurezza viene percepito come un’emergenza nazionale, grazie ad una sapiente gestione – drammatizzazione e amplificazione emotiva, degli eventi di cronaca nera da parte dei comunicatori dell’estrema destra, sostenuti spesso purtroppo in modo acritico dai media tradizionali.

Questo tipo di comunicazione, che definirei manipolatrice, determina ad esempio consapevolezze basate su elementi palesemente falsi. Faccio alcuni esempi. Uno riguarda il fatto che le forze dell’ordine non siano in condizione di difendersi. Ovviamente è una baggianata, visto che le nostre forze dell’ordine sono armate (in UK ad esempio la polizia non porta armi di fronte ad una violenza urbana neppure paragonabile a quella italiana), e le regole di ingaggio prevedono l’uso delle armi ovviamente come extrema ratio. Un professionista – come lo sono i nostri agenti e carabinieri – sa quando usarle perché è addestrato a valutare le situazioni e a comportarsi di conseguenza. Per questo sono dei professionisti. Nessuno ha mai indagato, processato o condannato un poliziotto che si è difeso da un aggressore armato. Ovviamente se l’uso delle armi è illegittimo – come lo fu ad esempio nella vicenda di Gabriele Sandri ad Arezzo – scatta il procedimento penale.

L’altro elemento del sistema di manipolazione della realtà sta nel comunicare come se al governo ci fosse qualcun altro. L’intera comunicazione della destra è rivolta ad accusare la sinistra per la presunta situazione di insicurezza del Paese, nonostante al governo da oltre un anno ci sia proprio la destra più estrema che questo Paese abbia mai prodotto dopo la caduta del fascismo, nonostante il leader di questa destra ricopra tra l’altro la carica di ministro dell’Interno. Se l’Italia fosse in mano a bande di gangster e predoni la responsabilità sarebbe solo e soltanto sua, visto che da un anno è il capo della sicurezza. Ovviamente tale atteggiamento apparirebbe schizofrenico, ma non lo è per nulla. Salvini si comporta come un leader di opposizione e contemporaneamente si presenta come unica garanzia per le paure, elargendo promesse di provvedimenti draconiani che sa perfettamente irrealizzabili (ad esempio “i lavori forzati”). Le parole così fluiscono lungo i canali social e l’onda prende forza. Contemporaneamente non fa praticamente nulla per arginare la situazione. Ogni delitto è un decimale di punto di consenso che sale.

Infine, il messaggio che a compiere i reati siano solo gli stranieri. Lasciando da parte le statistiche sui crimini più gravi ed efferati, mi soffermo solo su quelli che hanno visto vittime appartenenti alle forze dell’Ordine.

L’ultimo tragico episodio che ha visto morire il vicebrigadiere dei carabinieri è stato compiuto da due bianchissimi americani. Il 13 aprile c’era stato l’assassinio a sangue freddo di Vincenzo Carlo Di Gennaro, vice comandante della Stazione di Cagnano Varano, ucciso nella piazza del paese con tre colpi di pistola, sparati da un pregiudicato italiano. Sempre italiano è l’uomo, tossico e pregiudicato, che poco più di un mese fa, a Roma, ha accoltellato un poliziotto che fortunatamente è sopravvissuto.

Nessuno sembra poi più ricordare quanto avvenuto un paio di settimane fa a Vittoria, quando il figlio di un boss mafioso di Vittoria ha travolto e ucciso due bambini nel centro del paese. Erano tutti strafatti di alcool e coca. L’unico in carcere è il guidatore. Gli altri scorrazzano liberamente per i locali del Paese. Facendo quello che facevano prima: imbottirsi di coca e alcool.

Nessuno ricorda più questi episodi, avvenuti nel recentissimo passato. La macchina della propaganda sta lobotomizzando il Paese che, non solo ha perso la memoria a lungo termine, ma sta rapidamente vedendo evaporare quella a breve termine. Finendo per vivere in un eterno presente, dove vengono praticate quotidianamente iniezioni di paura e menzogne per ottenere una produzione costante di odio.

Forse noi giornalisti per primi dovremmo porci il problema e recuperare in modo fermissimo il nostro ruolo e liberarci dalla morsa dei social che sta strangolando la nostra libertà e finirà per condurci tutti dentro un sistema autoritario.

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