Forte in area di rigore, troppo fragile fuori. E alla fine quella fragilità ha prevalso anche sulla gioia di un gol: si è ritirato a soli 28 anni, Marvin Sordell, attaccante inglese del Burton Albion (League One), con una discreta carriera alle spalle tra Fulham, Watford e nazionale inglese, in particolare Under 21. Ululati razzisti e atti di bullismo hanno contribuito a far maturare in Sordell la decisione di abbandonare il calcio, come ha spiegato su twitter: “Sono stato vittima di razzismo in varie occasioni, ho visto un’incredibile quantità di bullismo, manipolazione e abusi verbali che sporcano questo mondo. Una combinazione che mi porta alla decisione di smettere di essere un calciatore professionista, sapendo che sarò un uomo più felice e che tornerò ad amare il calcio come non faccio più da anni”.
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Da ragazzino Sordell è una promessa. Della sua abilità in area di rigore, del suo tiro preciso si dice un gran bene: il Watford si decide a puntare su di lui, prima nelle giovanili e poi dal 2010 in prima squadra, venendo ripagato con 27 gol in 77 partite. A quel punto arriva anche la chiamata delle nazionali giovanili britanniche e Sordell anche in questo caso parte benissimo, segnando all’esordio in Under 20 e guadagnandosi subito il passaggio in Under 21 con 3 gol in 14 partite. Ma quei risultati non bastano, Sordell non riesce a isolarsi dagli ululati razzisti che arrivano né riesce a farsi scivolare addosso il bullismo di qualche collega, gli insulti dei tifosi. Arriva addirittura a pensare al suicidio, nel 2013 a soli 22 anni. Desiste solo grazie alla poesia: “Ero disperato – scrive il calciatore – volevo sfuggire alla presa emotiva che la depressione aveva su di me. Scrivere poesie però mi ha dato modo di riversare emozioni fuori dalla mia mente”.
Alla lunga Sordell però non riesce a fare come Boateng che scagliava palloni contro i soliti idioti dei “buuu” razzisti. O come Zoro, che prese il pallone e fermò la partita facendo capire ad altri idioti che in caso di prosecuzione dei “buuu” non si sarebbe più giocato. Né riesce a sopportare il clima degli spogliatoi, considerandolo “la parte brutta del gioco”, tale da mettere a rischio e danneggiare la sua salute mentale.
Sordell decide così di lasciare soldi e successo: “Il bambino che ero a sei anni non avrebbe mai immaginato ciò che sono riuscito a realizzare: ho giocato per l’Inghilterra, per la Gran Bretagna alle Olimpiadi e nel campionato più grande del mondo, la Premier, segando quei gol che sognavo da ragazzo, nel parco. Sarò onesto però, il lato brutto del gioco ha avuto un effetto dannoso sulla mia salute mentale”.
Non è il primo. Sordell, a dimostrare che soldi e successo non sempre fanno rima con felicità: alla sua stessa età un altro attaccante di cui si diceva un gran bene, Gianni Comandini, lasciò il calcio stanco di “equilibri poco umani”, preferendo girare il mondo. Una storia simile a quella di Marco Bernacci, attaccante pure lui, con tanta gavetta e tanti gol in Serie B: arrivata la chiamata del Torino per giocare al fianco di Rolando Bianchi, rinunciò appena dopo qualche allenamento, per poi riprendere ma senza mai più tornare ai livelli a cui era arrivato.
Ora, alla luce dell’esperienza vissuta e abbandonati definitivamente gli scarpini, Sordell ha raccontato la sua esigenza di aiutare chi si troverà, nel calcio, a vivere i suoi stessi problemi: “Durante la mia carriera la mia salute mentale è stata compromessa. Ora sono desideroso di aiutare le persone che hanno avuto problemi simili nella loro vita, magari tornando a fare la differenza nel calcio quando si tratta di benessere mentale”.