I media a stelle e strisce stanno commentando scandalizzati la foto del giovane criminale “drogato di aspirina” che insieme ad un complice, ha accoltellato 11 volte un nostro carabiniere in servizio, uccidendolo. Non è accettabile che un uomo sottoposto a fermo di polizia venga bendato dai tutori dell’ordine e subisca un tale trattamento, ma non posso non constatare la strumentalizzazione attorno a questo episodio, che ha di fatto surclassato l’uccisione di una persona perbene, di un uomo dello Stato.

Se nel caso in questione si è trattato di un piccolo gruppo di carabinieri che, sconvolti dall’omicidio del collega, errando, hanno messo una benda in faccia al presunto assassino, non riesco a capire l’ipocrisia dei giornali Usa. Gli Usa, un paese, in cui dal 2001 al 2009 è stato approvato l’uso sistematico della tortura sui prigionieri di guerra in tutte le carceri sia dentro che fuori dai confini nazionali. Tutti ricordano le terribili immagini delle sevizie inflitte nel penitenziario di Abu Graib in Iraq, subito dopo l’occupazione militare, così come sono vive nell’immaginario collettivo quelle del trattamento dei presunti terroristi a Guantanamo. In molti casi, quelle persone erano innocenti, ma subirono trattamenti disumani.

Sono purtroppo note le procedure di ingaggio che la polizia americana segue durante un arresto. Spesso i malcapitati, colpevoli o no, vengono massacrati di botte o, nel peggiore dei casi, uccisi durante l’arresto o nelle centrali di polizia. In particolare se persone di colore o ispanici. Secondo il Washington Post, da 500 a 1000 persone vengono uccise ogni anno dalla polizia, mentre gli abusi su cittadini durante l’arresto e la detenzione sono sistematici.

Immaginiamo per un attimo lo stesso evento, in cui però due giovani italiani uccidono con le stesse modalità e le stesse motivazioni un poliziotto a New York. Probabilmente già sarebbero stati estradati in una bara. Di cosa si scandalizzano allora i giornali americani e perché quelli italiani fanno da gran cassa senza contestualizzare gli eventi, sostenendo a gran voce la tesi dell’estradizione, quasi ad anticipare gli eventi?

Di solito cittadini americani che commettono reati nel nostro paese, in un modo o in un altro, la fanno franca grazie ad un sistema, questo sì razzista, per il quale uno statunitense, soprattutto se ricco e di buona famiglia, evita la galera e il giudizio, soprattutto fuori dal proprio territorio nazionale. Sono innumerevoli i casi di militari statunitensi in servizio in Italia, accusati di stupro e di altri reati, trasferiti alla giustizia americana e poi assolti di fatto.

I due statunitensi accusati dell’omicidio del nostro carabiniere sono tecnicamente due extracomunitari, ma, nella fattispecie non si grida allo scandalo. Anche questo dovrebbe far riflettere e pensare che la violenza, a prescindere da chi la pratica, va fermamente condannata e non strumentalizzata.

Auspico che nella fattispecie nessuno prenda in considerazione l’ipotesi di estradizione: i responsabili di questo crimine devono essere processati in Italia e scontare la pena che meritano, senza attenuanti di sorta e senza vendetta, perché la differenza tra lo Stato e i criminali deve essere sempre ben chiara. Se questi ragazzi verranno estradati non faremo che mettere ancora più a rischio la vita dei nostri uomini in divisa, trasmettendo l’idea che in Italia tutto è possibile. Per questo è necessaria, più che di inasprimenti delle pene, lavori forzati, pene di morte o qualsiasi altra baggianata, la certezza della pena e la ferma volontà di svolgere il processo e comminare la pena laddove è stato commesso il reato, senza cedere a trafile burocratiche che hanno il sapore della beffa ai danni della vittima.

Oggi non si ricorda più il carabiniere ucciso, ma il giovane bendato, non si chiede giustizia per il primo, ma si invoca l’estradizione per il secondo e questo non è accettabile! Chi ha sbagliato, danneggiando l’immagine dello Stato e dell’Arma deve pagare. Con questo governo e con il M5S non si copre più nessuno. Chi sbaglia paga, abbia la divisa o meno, ma ciò non può costituire in alcun modo un lascia passare per qualche criminale che ha ucciso con 11 coltellate un uomo dello Stato.

Si proceda però anche nella direzione di affrontare le violenze dentro le caserme, che esiste da sempre e che non può più essere tollerata, in alcuna forma. Genova 2001, il caso Cucchi e altri episodi meno noti avrebbero dovuto insegnare qualcosa.

L’indignazione, da una parte e dall’altra, sia incanalata in un percorso proficuo, distillata dall’odio, restituita alla ragione di una collettività che sa amare il prossimo, ma che ha sete di giustizia e di verità.

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