Il romanzo descrive “il popolo del pagante” nel proprio habitat naturale: i locali esclusivi del centro, gli chalet di Courmayeur, le spiagge di Mykonos e le vie di Amsterdam (no, non per Van Gogh). Non basta esserci, bisogna postare: se non ti geolocalizzi alle terme di Bormio o al Phi Beach in Sardegna, cosa ci sei andato a fare? Luoghi impermeabili alla crisi economica, indifferenti ai destini del mondo
Milano, Lime Light Club, 2012. Sotto le luci stroboscopiche, la folla si spintona in pista e si avvinghia sui divanetti. Dalla torre d’avorio e similpelle del privé, Johnny, re dei pr, osserva dall’alto la variopinta umanità che popola le discoteche: i pr rampanti che cercano di far la cresta sugli ingressi, i liceali che pur di risparmiare tre euro di guardaroba ballano con il bomber addosso, le provinciali in grande spolvero che cercano di entrare nel privé, i “tavolari” che alla fine della serata avranno speso qualche migliaio di euro in alcolici. Johnny tutto vede, e tutto racconta. Inizia così Destinazione Privé (Mondadori, 252 pagg, 17 euro), il romanzo nato dalle canzoni-parodia del trio milanese Il Pagante, famoso per la satira pop sulla dorata gioventù meneghina tutta lusso, feste e divertimento.
Nato nel 2010 come una pagina Facebook, il progetto musicale creato da Guglielmo Panzera e Alfredo Tomasi (i due manager del gruppo) ha preso vita due anni dopo su youtube: la formazione attuale comprende Eddy Veerus (al secolo Edoardo Cremona), Federica Napoli e Roberta Branchini. Tutti, manager inclusi, hanno 25 anni o giù di lì. Dal successo dei primi video sono arrivate le serate, due album (Entro In Pass e Paninaro 2.0) e infine un libro, con Mondadori. Il libro è stato scritto da Jean Ferretti insieme ai manager Guglielmo Panzera e Alfredo Tomasi. Racconta il mondo del Pagante, pr convertito alla musica, seguendo i testi delle canzoni più famose del gruppo: si inizia dalla storica Entro In Pass, il primo brano, che deve il titolo allo status symbol del popolo dei locali, il pass che divide gli eletti da chi deve mettere mano al portafogli (il pagante, appunto). Ogni capitolo, una canzone. Ogni canzone, una storia. Il libro gioca sulla vocazione all’autoparodia che contraddistingue il gruppo: una presa in giro dei figli della Milano bene, l’élite “nata sotto il segno del cash” di cui loro stessi fanno parte, cresciuta tra vacanze in barca e licei privati. Una generazione che misura le proprie relazioni in likes e follower, e compra il proprio divertimento a suon di kappa, cioè in migliaia di euro. “Nel mondo della musica l’obiettivo è vendere: noi cerchiamo di raccontare storie vere, cose che abbiamo vissuto», racconta Edoardo ‘Eddy’ Cremona, voce maschile del gruppo. “Le nostre canzoni sono pezzi ballabili, da club, ma hanno tutti delle storie dentro che raccontiamo con uno sguardo tutto nostro“.
Attenzione a bollarli come canzonette: pezzi leggeri, divertenti e divertiti, ma con un fondo di verità, in cui è facile riconoscersi. Un occhio godereccio e spregiudicato su hangover, due di picche, esami mai dati e vacanze in posti dove si lasciano fegato e portafogli, più che il cuore. Una specie di romanzo di formazione adolescenziale in musica, a uso e consumo di chi i vent’anni li ha passati da un pezzo. Esagerando qua e là, ma mica troppo. “All’inizio i nostri amici si sentivano chiamati in causa dai testi – racconta Federica Napoli, 26 anni, una delle due ragazze del gruppo – ma la nostra è una critica velata, una satira ironica, che magari apprezzano meglio i fan più adulti, che la colgono in un altro modo. Ai più piccoli arriva di più la nostra musica, perché si ritrovano nei testi”. I tipi umani che descrive il Pagante, in fondo, li conosciamo un po’ tutti. Come la shampista, figura mitologica arrampicata sul tacco dodici, che, in barba a cent’anni di femminismo, ha come unico scopo nella vita quello di rimorchiare qualcuno con i soldi. Il suo occhio da commercialista sa avvistare il portachiavi di una BMW o un completo Ermenegildo Zegna a un isolato di distanza. “Bisogna capire il gioco – spiega ancora Federica – il Pagante pensa e parla come la maggior parte dei diciottenni di oggi, che, diciamo la verità, sono un po’ maschilisti, e forse sono anche discretamente spaventati dalle donne. Ma sono fondamentalmente onesti: di fronte a un’arrampicatrice sociale, non si fanno problemi a chiamarla con il suo nome: shampista“.
Il romanzo descrive “il popolo del pagante” nel proprio habitat naturale: i locali esclusivi del centro, gli chalet di Courmayeur, le spiagge di Mykonos e le vie di Amsterdam (no, non per Van Gogh). Non basta esserci, bisogna postare: se non ti geolocalizzi alle terme di Bormio o al Phi Beach in Sardegna, cosa ci sei andato a fare? Luoghi impermeabili alla crisi economica, indifferenti ai destini del mondo. “Una delle colonne della filosofia del Pagante-personaggio è il cazzomene, un inno al menefreghismo. Bombardati da notizie negative, i paganti cercano lo svago per rimanere sereni”, chiosa Eddy. “Ovviamente è impossibile ignorare il mondo esterno, ma comunque ci prova. Anche il radical chic, il pagante impegnato, segue la politica più per fare l’anticonformista che non per convinzione profonda”. Già, perché anche il Pagante cresce, evolve, e si trasforma nella sua nemesi, il radical chic. All’università, rinnega anni di sbronze per abbracciare biciclette, cornetti vegani e canzoni indie. Le ragazze abbandonano la tuta Off-white e indossano abiti a fiori un po’ armadio della nonna, un po’ vacanza a Formentera, che si abbinano benissimo al Rolex (anticonformisti sì, ma pezzenti mai). Improvvisamente cominciano ad interessarsi di politica estera, letteratura francese e arte contemporanea, accessori più indispensabili della pochette Prada. “Ma sotto sotto, paganti rimangono”, conclude Eddy.
Avvertenza per l’ignaro lettore: chi non ha familiarità con il capoluogo lombardo, o almeno con le canzoni del gruppo, avrà qualche difficoltà a comprendere i dialoghi dei protagonisti, sgrammaticati e pieni di termini incomprensibili da Bologna in giù. “Forse nel resto d’Italia la lingua non si capisce pienamente, ma suscita curiosità – spiega uno degli autori, Jean Ferretti – magari a Firenze i ragazzi dicono “mi garba” e a Milano “mi gasa”, ma sono accomunati da quel menefreghismo spirituale, chiamiamolo così, ostentato nelle canzoni». Dizionario minimo indispensabile per comprendere lo stilnovo di Porta Venezia: sbatti (seccatura), pettinato (elegante), nogra (anagramma per grano, soldi, motore immobile del Pagante), gafi (vedi sopra). La prosa zoppicante da liceale in chat nasconde, come lo definisce Ferretti, un “opinion leader della sfacciataggine alla milanese“, capace di osservare i sui suoi simili senza mai giudicare. “Il messaggio di fondo è che questa generazione ha bisogno di evadere, ma non per questo è superficiale, come viene spesso etichettata. Anzi, è abbastanza tormentata, vive in una società votata all’apparenza, piena di distrazioni”, conclude Ferretti.
I realtà, quelli che dal romanzo ne escono peggio sono gli adulti: genitori che tra un selfie allo specchio e un gruppo Whatsapp si dimenticano di fare i genitori, cinquantenni in crisi che stiracchiano il termine ‘giovane’ sempre un po’ più in là. Anche il Pagante, partito come un liceale sbarbatello, adesso si avvicina ai trenta: “Ma oggi i trent’anni sono i nuovi venti – afferma sicura Federica – Si ha ancora voglia di viaggiare e divertirsi, non si pensa proprio a metter su famiglia”. Non è un caso se anche i trentenni, racconta, vanno ai loro concerti, nonostante il pubblico di riferimento siano gli universitari. “Il pagante-adulto conduce la sua vita sempre con il ricordo delle serate fatte a vent’anni, il periodo di paganza vera – conclude Guglielmo Panzera, manager e coautore del libro – si guarda indietro con nostalgia, ma in realtà non smette mai di essere Pagante, dentro: è una filosofia di vita“.