Il libro prende spunto da un fatto di cronaca nera realmente accaduto, anche se i contorni della vicenda narrata non sono del tutto chiari. L'autrice indaga sulle ossessioni umane, viatico di una catarsi che possa rendere vivo il ricordo di coloro che sono ingiustamente scomparsi
Il 4 dicembre del 1951 un caporale del tredicesimo Reggimento di Artiglieria veniva ucciso, a soli diciannove anni, a Roma in piazza dell’Indipendenza dalla zia acquisita, Francesca Rilo, con cinque colpi di pistola. Un delitto passionale o puro istinto omicida? Questo è quello che cercherà di scoprire Leda, nipote di Luigi Linzio e protagonista del romanzo, ossessionata dalla fotografia dello zio fin da bambina. Leda per placare i fantasmi che la perseguitano impedendole di vivere serenamente, inizierà una personale indagine, cinquant’anni dopo, che la condurrà sul luogo del delitto per cercare i testimoni dell’omicidio di quest’uomo che, fra l’altro, non ha mai conosciuto se non attraverso aneddoti raccontati dai suoi familiari.
“Spetta a me narrare la tua storia, dopo quel disordine dentro e fuori casa, dopo il sangue e le lacrime versate in silenzio.”
Questa è la trama di Più lontano di così: romanzo scritto da Lucrezia Lerro e pubblicato da La Nave di Teseo.
Il libro prende spunto da un fatto di cronaca nera realmente accaduto, anche se i contorni della vicenda narrata non sono del tutto chiari. Il ragazzo in questione si era macchiato di un’unica colpa: essersi innamorato di una donna che non l’avrebbe mai potuto ricambiare perché si sarebbe creato, in seno alla famiglia, uno scandalo che avrebbe causato lotte intestine difficilmente risolvibili. Quindi Luigi era ritenuto scomodo e per questo andava eliminato.
Ed ecco che l’intervento della protagonista risulta provvidenziale. Leda cercherà, infatti, di ristabilire la verità, cosa che non ha fatto la sua famiglia, trincerandosi dietro al dolore e, nonostante non abbia mai conosciuto lo zio, la sua missione sarà quella di rendergli giustizia per conferire dignità a una vittima innocente e per quietare le anime addolorate dei suoi familiari che hanno patito solo morte e miseria.
Il romanzo allora diventa il pretesto per richiamare l’attenzione sui casi di omicidio che tanto animano l’opinione pubblica, accendendo un dibatto che dà vita a commenti e a considerazioni spesso caratterizzati da un odio estremo e da poca umanità.
“Alle persone non importa dei morti ammazzati, la vita continua e loro finiscono nel dimenticatoio”, dirà Leda.
Amara verità rivelatrice dei nostri tempi dove la gente ha solo bisogno di trovare qualcuno sul quale scagliare le proprie frustrazioni e nell’era dei social network, dove le informazioni vengono aggiornate in maniera repentina, una notizia di tal genere può diventare motivo di scontro.
Ci si chiede, a questo punto, se tenere in vita la memoria di questi uomini sia sufficiente per riscattare le famiglie dal dolore o se rinchiudersi in una dimensione privata possa essere più utile per fare i conti con la mancanza di un proprio caro. Tanti gli interrogativi, poche le risposte certe.
Con uno stile impeccabile e un’attenzione meticolosa sull’utilizzo delle parole, sensibili, accurate e oltremodo preziose, Lucrezia Lerro indaga sulle ossessioni umane che, in questo caso, fanno da viatico a una catarsi indispensabile per purificare l’animo dalle tracce nocive di un passato ancora prossimo e, al contempo, dona l’esatto significato ai concetti primari del vivere civile, verità, umanità e dignità, affinché la coscienza non dimentichi, ma renda vivo il ricordo di coloro che sono ingiustamente scomparsi.