Dal 1990 al 2012 il gruppo Ortles-Cevedale ha perso il 34% della propria superficie ghiacciata. A dirlo è uno studio dell'Università Statale di Milano. Floriano Zampatti, insegnante di sci di lungo corso, ha vissuto sulla propria pelle la trasformazione dello Stelvio: "Sembra incredibile"
Uno agosto, rifugio Grande Pirovano, 3mila metri e spicci sul livello del mare. Dopo le 12 è uno sciamare di tute colorate, dentro e fuori dalla porta d’ingresso. Gli sci sono parcheggiati nello spiazzo davanti all’albergo e i bambini, accompagnati dai genitori, escono dal bar al piano terra con panini e lattine di Coca-Cola tra le mani. A pochi metri si snoda la fila di chi attende con impazienza il proprio turno all’impianto di risalita, la cosiddetta àncora, sul lato destra della pista Nagler. “Di tutto questo, oggi, non è rimasto più niente” racconta Floriano Zampatti, classe ’49, da 40 insegnante di sci alpino. Già, perché quella della famiglia che trascorre la settimana bianca sul ghiacciaio dello Stelvio è una fotografia, ora sbiadita, di fine anni Novanta. Il rifugio Grande Pirovano, oggi, è dismesso, l’àncora della Nagler è stata smantellata e di mamme e papà con figli non si vede nemmeno l’ombra.
Il passaggio da stazione invernale, negli anni ’70-’80-’90, a lingua di neve circondata da rocce scure su cui filano a gran velocità soltanto agonisti e addetti al settore, vive nei ricordi e nell’esperienza di Zampatti. “Andai allo Stelvio, la prima volta, nel ’76, per diventare istruttore nazionale di sci. Dal 1987 al 2000 ho trascorso tutte le estati sul ghiaccio, facevo parte della scuola sci Pirovano, che aveva 40 maestri, e lavoravamo mattina e pomeriggio a giugno, luglio e agosto. A Ferragosto i clienti non sapevamo dove metterli. Erano troppi”. Quaranta maestri, impegnati a pieno regime, a cui si aggiungevano i 50 della scuola Livrio più quelli degli hotel del Passo (Perego, Folgore, Sertorelli, Cristallo), ciascuno dei quali aveva dai sette ai dieci insegnanti.
“Oggi sono spariti – continua Zampatti – l’afflusso turistico è totalmente cambiato. Ed è successo, verso la fine degli anni Novanta, non per i costi di skipass e attrezzatura, ma per le condizioni ambientali che iniziavano a presentare già grandi criticità”. Lo Stelvio, 25 anni fa, si fregiava del titolo di “unico ghiacciaio sciabile tutto il giorno”. Eppure a metà anni Novanta qualcosa cambia: “Alle 13, a volte, si sciava nell’acqua. I clienti si lamentavano e così anche noi maestri ci siamo adatti: il pomeriggio li accompagnavamo ai Bagni Vecchi di Bormio, a Livigno, oppure lungo i percorsi della Grande Guerra“.
Col tempo, piano piano, gli impianti di risalita sono stati tolti: la Nagler, gli skilift Tuckett 1 e Tuckett 2. Per non parlare delle discese dalla prima cabinovia al Passo diventate impraticabili e, per le nuove generazioni, nemmeno immaginabili. “Due anni fa, dal 6 al 17 di agosto, il ghiacciaio è stato chiuso per il caldo eccessivo. In quel periodo avevamo il boom di richieste” ricorda Zampatti. “Mi viene il magone se penso a come sono ridotti i nostri ghiacciai. Vivo a Ponte di Legno, di fronte ho il Presena: è un disastro. Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti”.