Il Mezzogiorno rallenta ancora. Il Paese non se la cava neanche bene. Le emergenze vere del Sud non sono affatto quelle che animano il dibattito politico ormai da anni (immigrati e altro). Questo e altro dicono le anticipazioni del Rapporto Svimez 2019, presentate oggi dal direttore Luca Bianchi e dal presidente Adriano Giannola, a Roma.
Nel 2018 il Pil del Sud, secondo i dati Svimez, sarebbe cresciuto soltanto dello 0,6%, a fronte dello 0,9% dal Centro-Nord. Il divario tra le due aree del paese si sovrappone a quello, altrettanto preoccupante, tra l’Italia e l’Unione Europea. Si fa osservare che il rallentamento della crescita del Sud, dal 2018, si deve a un indebolimento della domanda interna, coerente col calo di capacità di spesa delle famiglie, oltre alla dinamica “divaricante della spesa pubblica tra Sud e Centro-Nord, anche contrariamente alla vulgata”, che vedrebbe nel Sud, ancora oggi e a torto, il luogo naturale della spesa.
Un dato che appare sorprendente, vista la propaganda politica costruita su questo luogo comune; dato peraltro confermato nel medio periodo, secondo Svimez, visto che negli ultimi dieci anni la spesa pubblica ha segnato una riduzione del -8,6% nel Sud ma è cresciuta del +1,4% nel Centro-Nord.
Dalla metà del 2018 il trend occupazionale ha subito un calo rilevante nel Sud (-107mila), invertendo un trend consolidato di lenta crescita costante dal 2014. Nel Centro-Nord la crescita è bassa, ma resta una crescita (+48mila).
Peraltro, sotto il profilo qualitativo, l’occupazione al Sud vede calare il numero di contratti a tempo indeterminato, con una dinamica molto evidente nei grafici riportati nelle anticipazioni Svimez. Aumentano, invece, i contratti a tempo determinato. Al Sud aumenta anche il part-time involontario, conseguente alla necessità delle imprese di ridurre la spesa per il lavoro.
Svimez ha previsto, con specifici modelli, l’effetto negativo conseguente al possibile aumento dell’Iva nel 2020 (23 miliardi di euro): essa è un’imposta intrinsecamente “regressiva”, il cui impatto sarebbe maggiore nel Sud che, essendo caratterizzato da minori redditi, ne risentirebbe di più in termini di capacità di spesa e di aumento dei costi dei beni.
Sotto il profilo sociale, si conferma un’emergenza “emigrazione”, con flussi di uscita dal Mezzogiorno di circa 130mila persone, a fronte di 63mila rientri (nel solo 2017). Giovani e laureati, soprattutto. Si parla di 2 milioni di persone negli ultimi 15 anni. Di cui un milione sotto i 35 anni e 200mila circa i laureati. Solo 400mila i giovani rientrati nello stesso periodo.
Gli immigrati dall’estero che arrivano al Sud sono di gran lunga inferiori. Come prevedibile, il Sud non ha attrattività e perde popolazione con una concentrazione alta nei piccoli Comuni: un dato che riguarda perlopiù i comuni di collina e di montagna, con popolazione inferiore ai 5mila abitanti. Questi hanno perso, negli ultimi 15 anni, circa 250mila residenti. Questo dato segna l’ulteriore emergenza nazionale: la debolezza demografica delle cosiddette “aree interne”.
La dotazione infrastrutturale e la qualità dei servizi continuano a evidenziare un divario gravissimo tra Sud e Centro-Nord. Il numero delle corse giornaliere, soprattutto ad Alta Velocità, denuncia un dato gravissimo: il Sud ne è escluso in modo impressionante, senza bisogno di ulteriori commenti rispetto alla figura riportata sotto.
Altrettanto grave l’accelerazione dei divari nelle “infrastrutture sociali”: il Rapporto cita il divario nel numero posti letto nelle strutture residenziali e l’assistenza integrata domiciliare dei servizi sanitari (i rapporti sono di circa un quarto tra Sud e Centro-Nord). Non cambia molto, quando si passa all’edilizia scolastica e relativi servizi offerti. Fa ben sperare la crescita delle start-up al Sud, che conferma l’esigenza di innovazione e la presenza di energie positive. Per Bianchi occorre un nuovo piano di investimenti, coi suoi positivi effetti moltiplicativi, di cui si è più volte discusso in passato: è stato ribadito che un euro al Sud produrrebbe circa 1,80 euro in termini di Pil.
Occorre, senz’altro, una nuova visione del rapporto Nord-Sud, che non strizzi l’occhio a rivendicazionismi miopi, cercando soluzioni che non siano “per parti”. Nella stessa occasione, Adriano Giannola ha sottolineato che la “terapia” del disimpegno degli investimenti nel Sud ha impoverito, finora, tutto il paese. Ha fatto notare che due regioni ad alto contenuto di capitale sociale, come Marche e Umbria, rischiano di entrare nel novero delle regioni del “Mezzogiorno”, in termini di figure di merito, dando “un segnale di estremo allarme per il Paese”, ulteriore evidenza di un problema strutturale che riguarda tutta l’Italia. L’idea di un Nord “contoterzista della Germania” costituirebbe, secondo Giannola, un’illusione pericolosa e inevitabilmente deludente. E l’austerità sarebbe stata pagata prevalentemente dal Sud, avendo minor disponibilità di risorse, con ripercussioni sul Nord.
Oltre questo, è stato fatto osservare che, coi numeri attuali, l’Italia recupererà le performance del 2007 (pre-crisi) soltanto nel 2025 nel Centro-Nord e nel 2030 nel Sud. Secondo Giannola, gli interventi sociali non possono essere risolutivi dei problemi strutturali del paese. Al contempo, il Sud non deve più permettersi di perdere prezioso capitale umano.
Giannola ha concluso sottolineando l’esigenza di un ragionamento sull’Italia, eliminando sentenze e luoghi comuni sul Sud che, cialtronescamente, non tengono conto del fatto che “grazie al meccanismo della spesa storica, le risorse nel complesso da dieci anni sono redistribuite con un costante flusso in eccesso di miliardi di euro dal Sud verso il Nord”.