D’ora in poi in Arabia Saudita le donne potranno viaggiare senza avere un uomo che le accompagni. Qualcuno potrebbe dire “ma ancora funziona così da quelle parti?”: già, ancora “funziona” così e a parte parlarne ed impegnarci in campagne internazionali, non credo si possa fare molto di più. Esistono paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran e tanti altri in Medioriente in cui la donna viene privata dei dritti basilari. Finora erano esentate dall’obbligo di avere un accompagnatore solo le donne con più di 45 anni d’età.
Sebbene questa notizia venga considerata come un leggero e davvero flebile passo in avanti, non dobbiamo dimenticare che in Arabia Saudita le donne hanno diritto solo alla metà dell’eredità rispetto ai loro fratelli e, prima di sposarsi, devono ottenere il permesso del ‘tutore’. Le donne tuttora devono richiedere l’approvazione del ministro dell’Interno per sposarsi con uno straniero, non possono aprire un conto in banca perché non è riconosciuta loro la libertà di gestire le proprie finanze. Le donne che divorziano dal proprio marito hanno diritto alla custodia dei figli solo fino ai 7 anni nel caso dei maschi e fino ai 9 per le bambine. Per non parlare della scelta degli abiti, non lontani dall’abaya – il lungo camice nero che copre tutto il corpo eccetto la testa, i piedi e le mani. Le lavoratrici domestiche vengono trattate da schiave: per questo le nazioni di provenienza hanno scritto nuove regole per le assunzioni, in cui sono state contestate oltre allo sfruttamento la riduzione in fame, le percosse, le umiliazioni, la negazione del diritto a sentire i propri familiari e a uscire di casa.
Insomma l’Arabia Saudita ogni tanto ci regala una ‘chicca’ sperando di farci dimenticare tutto il resto. Non dobbiamo cadere nella trappola ma dobbiamo continuare a chiedere maggiore dignità per ogni donna, anche se vive in paesi islamici.
Fino allo scorso anno le donne arabe non potevano nemmeno guidare. Un divieto caduto grazie alle proteste di numerose attiviste che sono state punite con il carcere. Un Paese in cui gli spazi pubblici sono divisi in una sezione dedicata alla “famiglia” a cui possono accedere le donne, e una per i soli uomini. Qui le occasioni che le donne hanno per passare del tempo con uomini diversi dai membri della loro famiglia sono molto poche.
Ci si aspettano dei passi in avanti per l’emancipazione femminile in occasione di Vision 2030, quando il regno del Golfo dovrebbe essersi emancipato dalle risorse petrolifere e aperto al mondo. È stato proprio il principe ereditario Mohammed bin Salman a dichiarare a The Guardian: “Torneremo ad essere ciò che eravamo prima: un Islam tollerante e moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni, aperto a tutte le tradizioni dei suoi popoli”. Il tutto sottolineando come sia davvero arrivato il momento di imprimere un cambio di rotta a “un Paese ringiovanito” e che guarda con entusiasmo al futuro.
Le notizie che arrivano dall’Arabia Saudita contrastano con quello che sta avvenendo in Iran, dove non si può dire che la condizione della donna stia migliorando. La Repubblica Islamica sta vivendo davvero giorni difficili sul piano della libertà individuale e le autorità continuano con gli arresti arbitrari. La questione delle donne, del velo, le proteste, le condanne e gli arresti sono diventati un nodo cruciale per la Magistratura.
La scorsa settimana il capo della Corte rivoluzionaria di Teheran, Mousa Ghazanfarabadi, citato dall’agenzia iraniana Fars, ha stabilito che “Chiunque si filmi oppure filmi qualcun altro mentre sta togliendo l’hijab e mandi foto alla giornalista Masih Alinejad, ideatrice delle proteste contro il velo obbligatorio in Iran, sarà soggetta all’Articolo 5 del Codice Penale Islamico e riceverà una condanna da uno a dieci anni di reclusione”. In Iran in velo è obbligatorio dal 1979 anno della Rivoluzione Islamica ed è obbligatorio non solo per le iraniane ma per chiunque si rechi in visita nel paese islamico.
Qualche anno fa l’attivista esule iraniana Masih Alinejad residente negli Stati Uniti già creatrice della campagna My Stealthy Fredoom (la libertà rubata) ha ideato una nuova forma di protesta contro il velo obbligatorio, i cosiddetti #WhiteWednesdays, i Mercoledì Bianchi. Una campagna di protesta seguitissima in cui incoraggiava le donne a togliere il velo, rigorosamente bianco, il mercoledì ed a inviarle i video. A questa campagna hanno partecipato molte ragazze che si sono ritrovate in una strada principale di Teheran – Via Enghelab, che in iraniano vuol dire proprio ‘rivoluzione’. In queste occasioni la polizia ha fatto vari arresti: il primo, quello di Vida Movahed, una ragazza 31 anni e mamma di un bimbo di 19 mesi. L’immagine di questa ragazza in piedi sopra a un pilastro, che con estrema calma, coraggio e lucidità sventola il suo hijab come fosse una bandiera, è diventato il simbolo delle proteste in Iran.
Molte altre donne hanno rimosso il velo in segno di protesta e lo hanno inviato alla Alinejad, molte di loro sono state individuate arrestate, condannate ed ora si trovano in carcere. L’avvocata Nasrin Sotoudeh che aveva preso l’incarico per difendere queste donne è stata condannata a sua volta a 35 anni di carcere e 148 frustate che sta scontando nella prigione di Evin a Teheran.
Un vero e proprio assedio nei confronti delle donne. Nonostante sia azzardato il confronto tra Arabia Saudita e Iran – per le tante differenze storiche e culturali dei due paesi – credo proprio che su questo tema possano essere facilmente accomunati. Quando si tratta di violazioni dei diritti delle donne la sostanza non cambia.