Economia

Fmi, per il dopo Lagarde la Ue indica la direttrice generale della Banca mondiale Georgieva. Battuto il “falco” Dijsselbloem

L’ex presidente dell’Eurogruppo e ministro delle finanze olandese non ha ottenuto la maggioranza. Francia, Italia e i Paesi dell’Est e hanno sostenuto la sua avversaria, non "compromessa" con le politiche di austerità messe in campo ai tempi della Trojka. I Paesi del Nord hanno contestato il risultato, chiedendo addirittura che si cambiassero le regole d’ingaggio considerando il peso dei Paesi in seno al Fondo e non alla Ue

Il politico olandese simbolo del rigore nei conti pubblici non avrà la poltrona di presidente del Fondo monetario internazionale. L’ex presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, “falco” che in più occasioni ha richiamato all’ordine i governi italiani all’insegna del rispetto delle regole Ue, è stato battuto ai voti – tra le contestazioni dei Paesi del Nord Europa che hanno chiesto addirittura che si cambiassero le regole d’ingaggio – dalla numero due della Banca Mondiale, l’economista e politica bulgara Kristalina Georgieva. E’ lei la candidata europea per il posto appena lasciato da Christine Lagarde, scelta come prossimo presidente della Banca centrale europea. E’ quindi molto probabile che sia l’Eurotower sia l’istituzione di Washington avranno a capo una donna.

“La signora Georgieva ha ottenuto il sostegno del 56% dei paesi che rappresentano il 57% della popolazione dell’Ue contro Dijsselbloem che ha ricevuto il sostegno del 44% dei paesi per il 43% della popolazione”, ha fatto sapere una fonte europea. Dijsselbloem ha avuto l’appoggio della Germania e degli altri Paesi che promuovono una ferrea disciplina di bilancio, oltre che dei governi socialisti, compagni di partito, come la Spagna. Francia, Italia, i Paesi dell’Est e tutti quelli che non perdonano all’ex capo dell’Eurogruppo di aver applicato alla lettera l’austerità prevista dalle regole e di aver assecondato anche la stretta chiesta dal Fmi sulla Grecia hanno invece sostenuto l’avversaria, che non si è ‘compromessa’ con le politiche varate dalla Troika. Il voto è arrivato dopo che, tra giovedì e venerdì, uno dopo l’altro si sono chiamati fuori dalla corsa il governatore della banca centrale finlandese Olli Rehn, il capo dell’Eurogruppo dei ministri delle finanze Mario Centeno e la ministra spagnola Nadia Calvino.

L’Ue ha tempo fino al sei settembre per presentare la sua proposta per il posto di direttore generale del Fmi. Che prenderà poi la sua decisione il quattro ottobre. L’istituzione di Washington è stata storicamente diretta da un europeo, mentre agli Usa va la Banca Mondiale. Quando Lagarde è stata scelta come prossimo presidente dell’Eurotower i 28 si sono messi alla ricerca di un sostituto, che avrebbero voluto indicare entro fine luglio. Ma il processo di selezione è stato complicato e teso fino all’ultimo. Il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, che lo guidava, sperava di compattare rapidamente una maggioranza tra i suoi colleghi, dopo settimane di stallo. Ma la scelta di risolvere l’impasse attraverso un voto ad oltranza, a maggioranza qualificata, non è stata apprezzata da tutti. Proprio perché molti volevano evitare che venissero alla luce le profonde divisioni tra i 28.

Con la maggioranza qualificata, il vincitore doveva ottenere i voti del 55% dei 28 Stati membri, che rappresentano almeno il 65% della popolazione Ue. Nessuno dei due candidati ha centrato entrambi i criteri: la Georgieva ha ottenuto il 56% dei Paesi e il 57% della popolazione, mentre Dijsselbloem il 44% dei Paesi e il 43% della popolazione. Secondo fonti europee e francesi, la vittoria della Georgieva era comunque chiara, visto che la maggioranza qualificata non era una regola, ma solo un ‘benchmark’. Ma i Paesi del Nord hanno contestato il risultato, chiedendo addirittura che si cambiassero le regole d’ingaggio considerando il peso dei Paesi in seno al Fmi e non alla Ue, criterio che avrebbe favorito l’olandese. Alla fine, però, è stato lo stesso Dijsselbloem ad accettare il risultato, nonostante avesse dalla sua la Germania e tutti gli altri ‘falchi’. Molto critico anche il Regno Unito, che si è addirittura chiamato fuori dalla votazione, nonostante gli fosse stato offerto di presentare anche un suo candidato.