Amazon non è l’unica ad avere dipendenti in carne e ossa che origliano le conversazioni degli utenti che usano l’assistente vocale. Anche Apple e Google sono state pizzicate, ma non è detto che smetteranno definitivamente di farlo.

In particolare, Apple è stata smascherata da un articolo sul quotidiano The Guardian, in cui il giornalista Alex Hern riporta che appaltatori esterni a Apple sono pagati per ascoltare regolarmente stralci di conversazioni dei clienti. Lo scopo è valutare l’attività dell’assistente vocale Siri in base a un certo numero di fattori, incluso se l’attivazione fosse intenzionale o accidentale, se le risposte di Siri fossero appropriate, eccetera. Peccato che nel farlo, personale retribuito in tutto il mondo prende parte a “informazioni mediche riservate, accordi sulla compravendita di stupefacenti, atti sessuali” e altro.

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Apple ha confermato l’esistenza del programma, e ha annunciato che lo sospenderà a livello globale: “mentre conduciamo una revisione approfondita, stiamo sospendendo il programma di valutazione di Siri a livello globale. Inoltre, nell’ambito di un futuro aggiornamento del software, gli utenti avranno la possibilità di scegliere se partecipare o meno a questo programma”. In altre parole, verrà chiesto il permesso agli utenti di origliare in casa loro, e il programma proseguirà con chi acconsente.

Per Google le cose sono andate in modo diverso, perché l’azienda è finita sotto inchiesta in Germania per possibile violazione dei requisiti del GDPR (regolamento generale europeo sulla protezione dei dati, in inglese General Data Protection Regulation), Il motivo sono le segnalazioni sull’impiego di esseri umani per verificare la qualità delle registrazioni vocali private di Google Assistant. L’indagine è in corso, per non peggiorare la propria posizione Google smetterà per tre mesi di ascoltare le registrazioni dei clienti all’interno dell’Unione Europea.

Pare evidente che tutte le aziende che hanno sviluppato assistenti vocali non possano fare a meno di valutare il funzionamento e l’efficacia dei loro prodotti in situazioni reali. Tuttavia questa esigenza non rispetta la privacy degli utenti. La fonte anonima di The Guardian ha spiegato che il suo compito era concentrarsi sui problemi tecnici e non sui contenuti delle conversazioni, ma comunque le sentiva, e per sua stessa ammissione “non sarebbe difficile identificare la persona che stai ascoltando”.

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Apple ha messo le mani avanti dicendo che le conversazioni esaminate sono meno dell’1 percento di tutte quelle giornaliere effettuate da Siri, e che i suoi appaltatori sono sottoposti a rigorosi accordi di riservatezza. Lo stesso ha fatto Google, sottolineando come la procedura contestata dall’UE sia stata attivata per migliorare la qualità dei servizi dell’Assistente.

Il commissario europeo Johannes Caspar ha messo nero su bianco che “l’uso dei sistemi di assistenza vocale nell’UE deve essere conforme ai requisiti di protezione dei dati del GDPR. Nel caso dell’Assistente di Google, ci sono attualmente notevoli dubbi al riguardo. […] Come primo passo, è necessario rispondere a ulteriori domande sul funzionamento del sistema di analisi vocale. Le autorità di protezione dei dati dovranno quindi decidere le misure finali necessarie per il loro funzionamento, conformemente alla protezione dei dati”.

Google ha risposto dando la massima disponibilità a collaborare con le autorità europee. Non resta che attendere gli sviluppi, e sperare che i dritti dei cittadini europei siano adeguatamente tutelati, anche se questo vorrà dire avere assistenti vocali meno zelanti.

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